Al Pier Lombardo è tornato Maurizio Micheli, accompagnato come sempre dalla sua finissima simpatia. Fino al 13 dicembre si potrà assistere a Uomo solo in fila, un’ora e mezza di attesa in un ufficio di Equitalia. Un comico intrattenimento senza incubi fiscali, disimpegnato e molto attuale
L’Uomo solo in fila in questione è Maurizio Micheli, ideatore e interprete versatile di questa pièce fin de siecle. Con i suoi baffetti poco impomatati, il suo sguardo limpido e resiliente, sempre circondato da un’aura caratteristica che ricorda in modo indelebile i passati da Operetta. Ma l’Operetta qui ha smesso di c’entrare, almeno per quanto riguarda l’evoluzione di una vicenda assolutamente libera, se non addirittura liberissima.
Entra in scena l’Italia intera, quella fatta di lettomi e di coloriture, “un’Italia assai poco equa, ma tanto Equitalia”. Lo stesso spazio scenico, pensato da Fabio Cherstich, è brullo e burocratico; le pareti gialline di una sala d’attesa vuota, non collocata cronologicamente, hanno un fine ansiogeno e rilassante al contempo, ospitando a tal punto le riflessioni di Pasquale.
Il protagonista è una creatura semplice, che talvolta si autocommisera della sua estrema ed essenziale normalità. Dinanzi al Mondo e alla Storia, a tratti il riso si tinge di una strana amarezza, come se “Pasquale di Domodossola” volesse sbandierare orgogliosamente al pubblico il suo essere quasi inutile.
Ed è per questo che Pasquale, smemorato e incerto, non sa bene quando verrà chiamato e inganna così i minuti di attesa, ripensando a episodi ironici e rimpianti iconici, vedendo oscillare davanti a sé i massimi sistemi della vita umana.
Persino le ideologie più disparate si fondono e vengono commentate gradualmente, come vessilli di una quotidianità che ci pilota senza più vivere nessuna emozione, tutto questo intriso di una cortese comicità.
Si alternano monologhi sui tipi sociali, gli status-quo, i partiti politici, la filmografia d’epoca, ma soprattutto la musica che viene ballata, cantata e suonata insieme al pianista Gianluca Sambataro.
Anche se sullo sfondo compare minacciosa e inclemente la scritta “Date e (non) vi sarà dato”, in realtà al pubblico viene dato molto più di quanto si possa credere; si ripercorre non solo un excursus socio-antropologico e simpatico nell’Italia dei decenni passati, a tratti nostalgico e dal sapore déco, ma un vero e proprio potpourri di storia dei grandi luoghi comuni.
La scontatezza di questo spettacolo è paradossalmente l’elemento cabarettistico che viene più appreso e compreso. Non si poteva infatti scegliere titolo più antifrastico di questo, perché la cosa peggiore della solitudine è la sua collettività. Questo episodio di comicità anni ’80 racchiude in sé la testimonianza di una paura comune, la tragicità di risate spese per rincuorarsi da quelle bruttezze che tutti vivono e tutti vogliono dimenticare.
Maurizio Micheli analizza e parafrasa le canzoni del passato, i caroselli, i dialetti, regalando pillole di ilarità, e persino imitando alcuni volti comuni.
Nulla è più palese di ciò che viene velatamente denunciato. Anche questa volta Godot non si è rivelato, ma pienamente incarnato in un plauso comune.
Da vedere anche solo per curiosità e soprattutto perché il Cabaret con la C maiuscola diserterà molto presto i palchi teatrali. Parola di Sibilla.
Al Teatro Franco Parenti, fino al 13 dicembre.