Una mostra imbarazzante occupa le sale di Palazzo Reale. Un feticcio pubblicitario in vista di Expo, che spoglia un genio della sua grandezza.
Dopo più di sessant’anni, Palazzo Reale torna ad ospitare una mostra dedicata a Vincent Van Gogh (Zundert, 1853 – Auvers, 1890). Un enorme successo, annunciato e rispettato, seppur completamente privo di rischi: l’artista olandese è infatti uno dei nomi blockbuster delle mostre d’arte e, contornato da un’aura mitica, è assurto a vero e proprio feticcio.
Proprio il consenso che ruota attorno a Van Gogh può diventare però uno scoglio per la reale comprensione dell’artista e dei suoi dipinti: in una mostra sul pittore, la ricerca del fresh look potrebbe costituire oggi forse la sfida più grande, a cui spesso ci si sottrae.
Per questa occasione, il taglio scelto dagli organizzatori, esplicitato dal sottotitolo L’uomo e la terra, strizza l’occhio, a pochi mesi dall’apertura e non senza forzature, a Expo 2015 – partner dell’iniziativa – e lancia la retrospettiva come ideale ambasciatrice dell’esposizione universale.
La mostra – curata da Kathleen Adler e immersa nella poco funzionale, fastidiosa e cupa penombra creata dall’allestimento di Kengo Kuma – presenta, suddivise in sezioni tematiche che scardinano il naturale ordine cronologico, una cinquantina di opere, quasi tutte provenienti dal Kröller-Müller Museum di Otterlo, e un piccolo nucleo di lettere autografe indirizzate al fratello Theo. Stralci di altre lettere, non sempre coerenti con i dipinti a cui si riferiscono, servono anche da didascalie, utili nelle intenzioni della curatrice a «raccontare la personalità di Van Gogh» mediante le sue stesse parole.
La maggior parte delle opere esposte risalgono agli esordi del pittore, quando da autodidatta si allenava a disegnare seminatori, zappatori, aratori e contadine. Brulli, cupi e terrosi, questi dipinti mostrano senza alcun addolcimento le difficoltà dei lavoratori e fanno da corollario ai Mangiatori di patate, capolavoro – non presente in mostra – di quella fase di pittura impegnata che precede l’arrivo a Parigi.
Non mancano opere risalenti al periodo parigino oppure realizzate negli ultimi anni, trascorsi tra Arles e Saint-Rémy de Provence, in cui l’artista, fondendo gli elementi tratti dagli impressionisti con la sua emotività instabile e con il suo insoddisfatto bisogno di affetto, crea quello stile originale e immediatamente riconoscibile che tutti conosciamo.
Continuamente evocato lungo tutto il percorso è il fantasma di Jean-François Millet, “pittore dei contadini” per eccellenza e grande punto di riferimento per la formazione di Van Gogh. Dispiace che non sia presentata in mostra nemmeno una sua opera, neppure in una qualche riproduzione, così come dispiace che manchino all’appello le amate stampe giapponesi o altre opere di contemporanei, utili a definire il contesto in cui l’artista viveva e operava, tanto da far apparire Van Gogh una monade, forse ancora più solo di quanto non fu in vita.
“Vincent Van Gogh. L’uomo e la terra”, Palazzo Reale, fino all’8 marzo 2015.
Foto: Vincent Van Gogh, Autoritratto, 1887.