“Vedete, sono uno di voi” è la bellissima biografia-intervista che il regista di tanti film di valore sul cristianesimo, e sul suo ruolo del mondo, ha voluto dedicare a una delle menti più laiche della chiesa moderna. Per 22 anni Arcivescovo di Milano, Martini ha attraversato con straordinaria lucidità intellettuale e disponibilità umana la città del terrorismo e di Tangentopoli, della corruzione e della crisi del lavoro. Cercando sempre la relazione, il dialogo con tutti noi, atei o credenti che fossimo
Sgombriamo subito il campo da un possibile, legittimo equivoco: Vedete, sono uno di voi, il bellissimo film documentario che Ermanno Olmi ha dedicato alla vita (perché in fondo anche di biografia si tratta) e soprattutto alle idee, al modo di essere e affrontare il prossimo, del cardinale Carlo Maria Martini, per 22 anni arcivescovo di Milano, non è affatto un film rivolto solo ai credenti, né tanto meno ai cattolici praticanti di stretta osservanza, come si diceva una volta. I voi, i noi del titolo siamo davvero noi tutti, religiosi e non, cristiani e atei, agnostici, ebrei, musulmani e fedeli di ogni altra regione della Terra.
Forse però noi milanesi in primo luogo, i pochi di nascita e i tanti acquisiti, perché nella nostra città Martini visse anni terribili e cruciali, per lui e per noi, e fu un punto di riferimento per tante anime investite dal vento impetuosissimo della vita, della politica, della violenza. Per questo il film ci parla, ci commuove un po’ di più, ci spaventa per la grandezza dei temi, dei quesiti, dei drammi che abbiamo passato in quei momenti, ma in fondo anche in quelli successivi di questa era di pace (almeno per l’Italia) ma così attraversata da conflitti asperrimi e tragedie epocali.
Siamo più in generale noi italiani, sgomenti di fronte agli abissi esistenziali e ideologici degli anni segnati del terrorismo, della corruzione, della degenerazione della politica, del vivere collettivo, della convivenza civile, e in tempi più recenti tormentati dalla crisi del lavoro e dall’avvento dell’era individuale, tra solitudine e auto-imprenditoria: e in mezzo le tante stragi che hanno infestato, spesso senza colpevoli acclarati, il nostro paese, gli scandali e le nuove povertà, e quelle scelte individuali che ci atterriscono perché hanno portato tanti alla prigione, al suicidio, al silenzio, alla negazione dell’identità. Quei “voi” siamo poi noi cittadini del mondo intero, quello occidentale e quello orientale – a cominciare dalla sua amata Gerusalemme – in cui Martini ragionava e invitava tutti a farlo, cercando di capire, di stabilire un contatto con l’altro, l’opposto; e dicendoci che solo facendo questo anche tutti noi insieme la società sarebbe migliorata.
Un intelligente e coltissimo divulgatore, lo si apprezza dalle sue parole, quelle antiche e quelle più vicine che si possono ascoltare nel film, dalle lettere, dai discorsi pubblici e dagli scritti. Un cultore non solo del discorso di fede e dell’etica cristiani, come era ovvio dato il suo ruolo, e anche molto prima della porpora cardinalizia, ma di un’idea, di una speranza, forse di un’utopia di umanità che partiva dal riconoscersi e dialogare, dal gettare ponti (per dirla “alla papa Francesco”) al contrario che erigere muri. Dal frequentare gli ultimi e non solo perché, come dice il Vangelo, “saranno i primi” ma innanzitutto perché sono importanti qui e ora, sulla terra, e bisogna capirli, avvicinarli, aiutarli. Poi, si vedrà, ognuno ha le sue aspettative. Ma c’è da fare, e molto, e subito, intorno a noi.
Sullo schermo, nella trama scritta da Olmi a quattro mani con Marco Garzonio, scorrono brevi elementi dell’infanzia e poi della giovinezza di Martini, torinese, classe 1927, in festa per la liberazione dal fascismo ma anche sconvolto dalla devastazione della guerra, e presto impegnato in quegli studi che da principio credeva sarebbero stati la sua vera vocazione, di raffinato teorico del cristianesimo più che di suo concreto predicatore per le vie del mondo. Lui attraversa l’emozionante esperienza del Concilio Vaticano II e poi una lunga militanza accademica tra Pontificio Istituto Biblico e Università Gregoriana (di entrambi fu rettore); finché, un po’ a sorpresa, soprattutto per lui, alla fine del 1979 Papa Woytila lo nomina arcivescovo di Milano, tra le sue molte incertezze per un ruolo certamente importante ma forse lontano dall’insieme di esperienze che aveva fino a quel momento segnato la sua presenza nella Chiesa.
Da allora però si vede un “nuovo Martini”, che scende tra i fedeli, rifiuta le auto blu e cammina per le strade, organizza incontri sul valore della parola stando non sul pulpito ma seduto a un tavolino in mezzo al Duomo. E da lì i viaggi attraverso la città dei poveri e del lavoro, le visite in due fabbriche storiche già in crisi, Pirelli e Bicocca, e il battesimo, che officia nel 1984, di due gemelli nati nel carcere di San Vittore – dove aveva già celebrato la messa di Natale nell’82 e nell’83 – figli di due militanti di Prima Linea. Qualche mese dopo ci sarà la consegna di alcuni borsoni pieni di armi in Arcivescovado, da parte di un pezzo del “partito combattente” che aveva rinunciato alla guerra armata, forse anche grazie alla sua voglia, alla sua capacità di capire tante cose. E ancora la “Cattedra dei non credenti”, una serie di incontri sulle domande della fede del cui titolo era debitore, Martini lo disse pubblicamente, da Norberto Bobbio.
Nel 1990 il Cardinale parla già di “noi e l’Islam”, poi scoppia Tangentopoli e Cesare Romiti, il potentissimo manager della Fiat, si scusa davanti a lui per il contributo dato dalle aziende al diffondersi della corruzione. Nel 2002 si dimette da arcivescovo di Milano, chiudendo 22 anni di una presenza in città che certamente ha lasciato un segno in tutti, e se ne va visitando ancora una volta San Vittore, e con un discorso in Comune sul ruolo della politica. Pochi mesi dopo parte per la Terra Santa – molte delle parole che nel film sentiamo e vediamo, perché anche i suoi gesti e il suo volto contano, hanno Gerusalemme come sfondo – dove resta per sei anni molto fecondi di riflessioni e scritti.
Morirà nel 2012. Lasciando, scrissero i cronisti banali, un vuoto incolmabile. Ma questa è forse una delle volte in cui invece l’espressione ha un senso reale. Da non credente non azzardo un giudizio “pastorale” sui suoi successori, certamente come cittadino il saldo negativo è stato evidente. E non è una questione di destra e sinistra, di cardinale progressista (lui) versus papa conservatore (Giovanni Paolo II), che pure è stato a lungo un titolo giornalistico anche plausibile, non c’è dubbio. Ci sono da subito mancate la sua intelligenza, la voglia di penetrare le ragioni delle tempeste in corso e la lungimiranza nel cercare di approcciare quelle in arrivo. E un’etica della relazione che, quando c’è, supera barriere politiche, ideologiche e confessionali, perché nasce dalla voglia di ragionare con gli altri, di far ragionare gli altri sulle conclusioni delle proprie analisi. E non tanto, o almeno non solo, per affermare le sue indicazioni pastorali, cosa che certamente ha fatto anche parte dei doveri di un ministro della cristianità di altissimo livello come lui. Martini è stato sul serio uno di noi anche nel tentativo di superare il ruolo del portatore senza incertezze di una fede, di una verità, di cui ha invece sempre cercato la verifica in modo aperto, verrebbe da dire quasi illuministico, scientifico: sperimentando cosa restava di quelle idee nella realtà di tutti i giorni, tra le persone, in mezzo ai mille problemi di un mondo che forse era la più mirabile delle sue creazioni, quando Dio l’ha fatto, ma che adesso mostra certamente più di una imperfezione.
Vedete, sono uno di voi, film documentario di Ermanno Olmi sul cardinale Carlo Maria Martini