“Vernon Subutex1” mette in scena il mondo parigino dei musicisti, sceneggiatori, critici musicali e cinematografici. Quelli che, secondo Virginie Despentes, hanno venduto la loro giovanile, spensierata e pura anima al successo e soprattutto ai soldi.
Il primo incontro del pubblico italiano con Virginie Despentes è stato con il romanzo Scopami del 1999, che parla ossessivamente di stupri e violenze, cui è seguito, nel 2006, il saggio King Kong Girl, il manifesto femminista della scrittrice (l’ennesimo di cui forse non avevamo davvero bisogno). Entrambi i libri sono autobiografici e volutamente scandalosi, forse anche troppo compiaciuti nell’esserlo a tutti i costi: trattano di stupri, prosituzione, modi di emanciparsi dall’ordine patriarcale della società.
Vernon Subutex1 invece non è un testo direttamente autobiografico e, a differenza di Scopami, in cui le protagoniste sono due giovani amiche, il personaggio principale è un uomo. È il primo volume di una trilogia dedicata a questo originale e interessante personaggio, uscito in Francia nel 2014 e che diventerà presto una serie Tv commissionata da Canal + e diretta da Cathy Verney.
Vernon Subutex1 segna una svolta nella carriera della Despentes, presentandosi come un libro più maturo dei precedenti e con un maggior controllo della scrittura che scorre molto piacevolmente sotto gli occhi del lettore. Oltre alla consapevolezza stilistica Despentes mostra anche, in questo libro, uno sguardo più acuto sulla società, soprattutto la sua società, quella che vive e conosce. E cioè il mondo parigino dei musicisti, sceneggiatori, critici musicali e cinematografici. Quelli che, secondo Virginie Despentes, hanno venduto la loro giovanile, spensierata e pura anima al successo e soprattutto ai soldi. Cosa che non ha fatto Vernon, il protagonista di questo romanzo. Lui cade con grazia, raggiunge il fondo della scala sociale e non se ne dispera. Vive la sua precarietà di cinquantenne ancora piacente che però ha perso tutto, lavoro, casa, dignità, con una specie di adolescenziale incoscienza. Come se a tutto ci fosse una soluzione, un piano b. Nel frattempo, dopo aver subito uno sfratto, col suo borsone pieno di ricordi forse ancora commerciabili, si fa ospitare due giorni qui, tre giorni là dagli amici che gli sono rimasti da quando ha perso il suo negozio di dischi da cui passava per un acquisto o una chiacchiera mezza Parigi. Era qualcuno Vernon Subutex in quel tempo, aveva amici danarosi, adesso la loro ospitalità, pur se provvisoria, è l’unica cosa che gli è rimasta degli anni in cui, simpatica canaglia dagli occhi azzurri, era amato e vezzeggiato da uomini e donne. Ora lui li detesta, vede quanto mentono a se stessi, vede la loro miseria interiore, ma ha bisogno delle loro case, dei loro letti, cucine e salotti, per sopravvivere ancora un giorno, e allora li asseconda e li blandisce. Di odio e disprezzo, in questo romanzo, ce n’è un po’ per tutti: per quelli che si abbruttiscono di lavoro e metropolitana, per gli immigranti africani e arabi, per i servizi sociali allo stremo, per i nazisti che fanno le ronde per ripristinare il patriottismo francese contro l’invasione di stranieri. Si salvano solo i senzacasa, anche se sono ubriachi, sporchi, puzzolenti. Non danno fatidio a nessuno, stanno tra di loro e non costano niente alla società.
La trama si dipana attraverso i punti di vista dei vari personaggi da cui Vernon si fa ospitare. Di tutti si racconta la storia, il loro passato e il loro presente, cosa pensano, cosa sentono, chi e cosa odiano e amano. C’è Emilie, la prima a ospitarlo che anni prima era stata ignorata da Vernon nel suo tentativo di diventarne amica, e Xavier, l’amico di quando era ragazzo che lo ospita per badare al cane mentre lui e la moglie sono via per il weekend. Poi c’è Lydia e dopo di lei altre donne a cui basta telefonare per avere ospitalità. Fa impressione questa Parigi dei “creativi” descritta con gli occhi di Vernon, disumana nei rapporti tra le persone, tutte dedide a distrarre il Mostro Solitudine da se stessi, e allora si beve, si sta alzati fino al mattino inoltrato con le solite persone di cui si conosce ogni dettaglio della loro vita ma di cui non si è capaci di fare a meno. Perchè se no cosa si fa? C’è il vuoto oltre quelle nottate a alcol e cocaina, non c’è un’altra realtà più gratificante a cui dedicarsi se non un lavoro fatto solo per avere sempre più soldi. Nessuno nell’ambiente di questi presunti creativi sembra avere una vera passione nella vita, un vero amore per qualcosa o qualcuno. Ma a Vernon le donne di questo ambiente piacciono, anzi a lui le donne piacciono tutte o quasi, le vecchie amiche di quando aveva il negozio di dischi “Revolver”, o quelle che incontra nei bar o per strada. È un moderno flâneur Vernon, ma senza la noia e la disperazione di un Baudelelaire. Lui se la gode la sua giornata per le strade di Parigi, guarda la gente, incontra delle donne, diventa il loro confidente e il loro amante.
Vernon diventa pian piano succube e dipendente dalla strada, dal marciapiede, dove finalmente può incontrare i suoi simili, i barboni, donne e uomini, vecchi e giovani che passano la giornata da anni sulle panchine della metropolitana, che sfacciatamente e senza doversi umiliare per farlo chiedono soldi e cibo davanti ai supermercati. Capiamo che Vernon dopo tanto girovagare per le case di vecchi e nuovi amici, ne ha abbastanza di tutti loro. Preferisce stare con i barboni, loro lo accolgono sempre con un sorriso, una birra o qualcosa da mangiare. E anche se nel borsone che si porta dietro ha un piccolo tesoro, la registrazione di una sua intervista ad un celebre musicista appena scomparso, Alex Bleach, di cui era intimo amico e che gli pagava l’affitto, Vernon non sembra curarsene, non la usa, non la vende, non la sfrutta per tornare ad essere il vecchio Vernon. Il suo bisogno di indipendenza gli fa preferire la strada e la vita da barbone alle comodità di una vita borghese. Il romanzo si interrompe qui. Che dire, che pensare di questa sua scelta? Autodistruttività o estremo bisogno di libertà e sperimentazione?