Cinque poesie per la fine e il nuovo inizio: perché, come scrive Mariangela Gualtieri in una di esse, “Noi siamo solo confusi…ma sentiamo. Sentiamo ancora”. E perché la ‘parola data in cui crediamo’ di Christian Tito non evoca solo un impegno preso ma anche un’offerta all’altro. Di parole, appunto
Al futuro
Futuro, verso te
In corsa ci vediamo.
Ma sei tu che a noi vieni
E noi siamo immobili
In questa illusione di treni.
Noi mangiamo
E non è più più cibo
Quel che abbiamo appena inghiottito.
Era, o Futuro, un tuo sapore
Adesso in noi seppellito.
Noi tocchiamo
Il fiore, il grembo, la ferita
E ogni cosa concreta
Si fa annaspante memoria
Di dieci astratte dita.
Noi guardiamo
E si schiude
Il volto a lungo a noi negato.
Come sarà – ci domandammo
Ci domandiamo – com’è stato.
E tutto l’amore che amiamo
Tutto l’odore che odoriamo
Tutto il patire che patiamo:
Sei tu che ami, odori e patisci,
O Futuro che ti demolisci.
O Futuro che entri
Dentro le nostre porte.
O Futuro che ci costruisci.
O Futuro che sali a noi
Tua morte.
Giovanni Giudici, O Beatrice, anno 1972
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Il corpo è chiuso come una muraglia
è come un pozzo immerso nella carne
che non giunge ad avere
impressione di sé.
E le sue membra stanno
mute e cieco e fermo
nella gamba riposa il ginocchio.
Ma nella testa s’apre
l’alba del mondo:
l’osso si allarga, accoglie
dentro di sé lo sguardo.
Dolcemente si compie
il paziente travaso del vedere,
acquedotto di chiarore, strada
che porta l’essere a se stesso.
E nella radura della fronte
il portale del ciglio ha la sua luce.
Valerio Magrelli, Ora serrata retinae, anno 1980
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Cerca tra le cose che ami quale morirà per prima
quale ghiaia innalzare sul secolo che frana.
Non occorre affrettarsi
ma scuotere la testa davanti al due che affiora
fermarsi tra le cifre – un’acqua
che schiuma sulle scale prima di invadere la casa –
fare del mille un monte -modesto- come il Sinai
e dei tre nove: una stella
nel buio del mattino.
Non c’è salvezza nell’attardarsi di un millennio,
semplicemente i suoni si alzano più fitti dentro il vento
uno stormire di uccelli e di foresta.
Cerca tra le cose che ami quale morirà per prima
combatti nonostante il tremore.
Ma noi parliamo a candele, ad auspici imperfetti
a ombre che abbracciamo con fervore
e la lingua è la stessa che si porta migrando dalle isole:
una nube
in gola
che oscura la dizione degli oggetti.
Antonella Anedda, Notte di pace occidentale, anno 1999
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Le due ballerine
Bambina mia,
Per te avrei dato tutti i giardini
del mio regno, se fossi stata regina,
fino all’ultima rosa, fino all’ultima piuma.
Tutto il regno per te.
Ti lascio invece baracche e spine,
polveri pesanti su tutto lo scenario
battiti molto forti
palpebre cucite tutto intorno. Ira
nelle periferie della specie. E al centro
ira.
Ma tu non credere a chi dipinge l’umano
come una bestia zoppa e questo mondo
come una palla alla fine.
Non credere a chi tinge tutto di buio pesto e
di sangue. Lo fa perché è facile farlo.
Noi siamo solo confusi, credi.
ma sentiamo. Sentiamo ancora.
Siamo ancora capaci
di amare qualcosa.
Ancora proviamo pietà.
Tocca a te, ora,
a te tocca la lavatura di queste croste
delle cortecce vive.
C’è splendore
in ogni cosa. Io l’ho visto.
Io ora lo vedo di più.
C’è splendore. Non avere paura.
Ciao faccia bella
gioia più grande.
Il tuo destino è l’amore.
Sempre. Nient’altro.
Nient’altro. Nient’altro.
Mariangela Gualtieri Paesaggio con fratello rotto, anno 2007
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Così chiedo agli avi i futuri codici
per attraversarla senza perdere niente questa nostra vita
per mettere in mio figlio e in tutti i figli
una traccia di senso possibile, un amore, una passione,
per non perdermi pur perdendo continuamente
perché la vittoria appare chiara e vacua in questo mondo
e a noi piace la piena ombra.
poesia come massimo grado della sconfitta
poesia come massima distanza dalla resa.
camminare a piccoli passi, ma camminare
dire poche parole, ma dirle
perché noi crediamo nella parola
e forse più in quella data
prima ancora che scritta.
Christian Tito Ai nuovi nati, anno 2016
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Le cinque poesie che avete letto sono tutte tratte da Poesie dell’Italia contemporanea 1971-2021 a cura di Tommaso Di Dio, per i tipi del Saggiatore. Sono cinque, una per ogni sezione temporale del volume, scelte in risposta alla suggestione dell’autore di creare un proprio personale percorso all’interno di un corpus imponente di poesia italiana degli ultimi 50 anni. E così, nel tempo del passaggio che ogni fine d’anno rappresenta, queste – avrebbero potute essere altre ed altre ancora – sono sembrate adatte allo scopo, hanno suscitato una domanda, hanno inquietato o aperto una lama di luce: hanno risuonato insomma in chi le ha scelte, ripetendo il dono che la poesia porta con sé. (assunta sarlo)
In apertura foto di Age Barros/unsplash