Bruno Cartosio dà vita con il suo monumentale saggio-racconto, “Verso Ovest. Storia e mitologia del Far West’, uscito per Feltrinelli, alla narrazione documentata quanto appassionata di come si costruisce, con molti mezzi e grande successo, la biografia di una nazione, la sua gerarchia di comando e le regole di funzionamento di un capitalismo moderno e senza freni
Non sono uno storico, né sono particolarmente esperto di Ottocento nordamericano, le cui vicende un po’ conosco per quanto ho imparato vedendo film (molti) e leggendo libri e articoli di giornale e in rete (meno).
Faccio questa premessa prima di scrivere di: Verso Ovest – Storia e mitologia del Far West, l’ultimo e davvero enciclopedico volume (400 pagine esatte, di cui trenta di note, e vi tocca leggere anche quelle perché ci sono tante cose interessanti e divertenti pure lì) di Bruno Cartosio, uno dei massimi conoscitori italiani di storia americana politica, economica e sociale degli ultimi tre secoli, che ha insegnato per molti anni all’università di Bergamo e divulgato attraverso vari altri libri, innumerevoli conferenze e grazie a una rivista molto ricca di pensiero e pensieri, Acoma che trovate on line.
La premessa per dire che non sono in grado, e nemmeno ci proverò, a valutare il lungo, divertente, appassionante, concettoso racconto (niente dieci pagine prima di dormire la sera, prendetevi del tempo e leggetelo a capitoli interi, anche abbinati) di un’era diventata mitica per tutto il mondo (ricordate Wim Wenders, “Il nostro inconscio è colonizzato nel profondo dalla cultura americana…”?), sulla base della qualità dei riferimenti di studio, delle fonti, delle linee di intervento storiografiche. Certo, come chiunque lo leggerà sono anch’io rimasto abbastanza impressionato dalla mole di citazioni, riferimenti letterari, bibliografici, archivistici che mostrano il tempo, la competenza e la passione dedicati a un tema e a una storia che con ogni evidenza ama e intriga l’autore sopra tutte: ma quel che soprattutto conta è come sono diventate la base su cui ha costruito un complesso di linee di pensiero, inferenze, collegamenti che conducono a un discorso globale compatto e conseguente, ricco di esempi che hanno tutti un loro sensato ruolo nell’argomentazione globale. Un caso non comune di conversione della quantità (di dati, informazioni, spunti, studio) in qualità (di discorso storico e politico). E che fanno di Verso Ovest un esempio davvero notevole di minuzia e precisione analitica e, subito dopo. di attitudine sintetica, teorica, filosofica, mediologica (su questo punto cercherò di dire qualcosa di mio).
In secondo luogo vorrei poi consigliare questo libro a tutti quelli che, pur non essendo, come me, degli “storici”, da pochi o tanti anni si sono appassionati ai racconti di cowboy e indiani, sceriffi e banditi, alle straordinarie storie individuali della Frontiera. Al cinema, in primis: Clint Eastwood, che continuo ad amare nonostante il suo sciagurato endorsement pro Trump, ha detto con intelligenza e forte senso autobiografico: “Noi americani abbiamo inventato due sole cose importanti al mondo, il western e il jazz”. Lui ha diretto forse il più bel film sulla musica dei neri americani mai fatto, Bird sull’immenso Charlie Parker con un eccellente Forrest Whitaker, e ha reinventato, prima insieme a Sergio Leone in Italia, poi da solo o con sceltissimi comprimari in patria, il western.
Dunque Verso Ovest è la storia del mito della Frontiera, della Conquista del West (titolo di un kolossal di Ford e Hathaway con Fonda, Peck, Wayne, Stewart, Widmark, in verità superfluo polpettone celebrativo ma per me, allora spettatore di 9 anni, film mitico) come fu raccontata dagli opinion maker del tempo. E si tratta di politici, editori, impresari teatrali (il circo-show viaggiante di Buffalo Bill che Robert Altman ha rievocato con un grande Paul Newman) e così via. Parliamo della seconda metà dell’800 – il racconto arriva fino al 1920 circa – e il gran dispiegamento di mezzi e l’enorme successo, l’intento manipolatorio di quei narratori, le molte contraffazioni e il coinvolgimento di protagonisti famosi (veri testimoni e insieme testimonial da pubblicità moderna) ne hanno fatto una gigantesca operazione di identificazione positiva nazionale che certamente è poi stata alla base dei molti successi mondiali degli Usa in tutto il XX secolo.
Ma la dinamica di quelle narrazioni, e il rapporto allora instaurato col pubblico, dicono moltissimo anche dell’oggi della politica, e non solo. Sono tutt’altro, insomma, che un tema storico, nel senso di “del passato”, cosa che Cartosio sa benissimo. Sulla base di un reale spirito del tempo, figlio di idee, bisogni personali e collettivi, motivazioni etniche, geografiche, storiche, di genere, si è creata una biografia “in progress” della nazione i cui fini, tutti ideologici, son stati a lungo presentati all’opinione pubblica come qualcosa che nasceva, germinava dal ventre etico del Grande paese. Dando l’impressione all’opinione pubblica che questi processi di omologazione, in realtà costruiti e suscitati dalle classi dirigenti, in primo luogo economiche, avessero invece origine nelle idee, nelle vite, nelle fantasie del popolo.
L’affermazione del maschio, bianco, preferibilmente protestante e anglosassone, riassunto nell’ormai celebre acronimo WASP, trasferita dal campo di battaglia a quello delle idee e della mitologia collettiva, non è solo la constatazione di chi “ha vinto” (le guerre indiane, ma anche la ribellione dei neri) ma deposita nell’inconscio collettivo (anche dei pochi indiani rimasti, dei neri, delle minoranze, delle donne su certi temi) la gerarchia di comando di una nazione che ha tutti i crismi formali di una democrazia ma è basata su una forma, più o meno dura a seconda delle personalità al potere, di tolleranza repressiva, come avrebbe scritto anni dopo, riferendosi a una società più avanzata, Herbert Marcuse.
Chiunque, in quella nazione, può da zero arrivare alla vetta dell’ascensore sociale, purché accetti e riconosca, sul piano storico e attuale, la missione salvifica, e per molti culturalmente di origine divina, di un capitalismo moderno, tecnologico, senza limiti e freni. Capace di “civilizzare” contadini e messicani dell’Ovest e, al contempo, le masse operaie di origini irlandesi, italiane e altre, nell’Est e di metterli insieme dietro le bandiere di un destino manifesto di conquista, all’insegna del coraggio e della lotta, dal sangue e della vittoria. Mirabile battuta, mai abbastanza apprezzata nella sua possibile, globale metaforizzazione, quella di Belushi&Aykroyd in Blues Brothers, “Siamo in missione per conto di Dio”. Come Kit Carson e Wild Bill Hickcock, almeno nella rappresesentazione delle pagine dei ‘dime magazine‘ che stravendevano in tutti gli States alla fine dell’800. Quello che era successo, e succedeva nella realtà, era poi spesso molto diverso, ma molto meno commerciabile. Ed è rimasta giustamente celebre la battuta finale dell’acuto, a tratti molto divertente L’uomo che uccise Liberty Valance, di John Ford: “tra la realtà e la leggenda, stampa la leggenda”.
Un’ultima notazione, ancor più generale e interessante, riguarda il rapporto tra storia e mitologia (e comunicazione) e trascende la vicenda specifica della Frontiera americana, la cui trasformazione in mito condiviso è uno dei primi casi in cui l’operazione avviene in contemporanea con l’accadere dei fatti di cui si vuol dare una visione idealizzata. Gli stessi protagonisti – la vicenda di Buffalo Bill e del suo show autocelebrativo è emblematica – si fanno protagonisti in vita della loro mitologia: un po’ come se Ettore o Achille fossero saliti sulla scena del teatro di Olimpia per raccontare la caduta di Troia come l’aveva scritta Omero. E così si potrebbe dire per Orlando e Ariosto, o Sigfrido e Wagner.
Nell’America di fine ‘800 invece molti cowboy o ufficiali dell’esercito che avevano partecipato alla Conquista del West, soggetti di epiche gesta, se ne fecero narratori, talvolta addirittura con interviste sui giornali in cui raccontavano le loro imprese. Tale mitizzazione, che avveniva in contemporanea, “live” come in tv, non ridusse la dimensione eroica dei personaggi e la credibiltà di imprese ed eventi, nonostante venissero spesso raccontati in modi onestamente inverosimili E con l’aggiunta di molti particolari dubbi.
Mitopoiesi successive, al cinema per esempio, come quelle fantascientifiche tipo Star Wars, faranno un passo in più, collocando i loro protagonisti, veri oggetti di venerazione/desiderio, in tempi e luoghi irraggiungibili: e narrando eventi del futuro renderanno alla base inaccettabile e inattuale ogni obiezione di realismo e credibilità, collocando quindi decisamente la loro mitologia nel pieno terreno dell’immaginazione e dell’irrealtà.
Tutto il contrario di quel concretissimo Ovest, fatto di Sangue, sudore e polvere da sparo (per citare un altro film di grande valore), il cui mito Bruno Cartosio ha trasformato, sulla base di una documentazione accurata e forse unica, in un racconto coinvolgente e non privo di un’appassionata polemica storica e sociale. Trasmettendoci però al tempo stesso il fascino ambiguo che esercitano, anche su di lui, quei protagonisti veri e falsi al tempo stesso.