È arrivata fino alla cinquina dell’oscar al miglior film straniero la riuscita commedia dolceamara della tedesca Maren Ade. Che racconta di un genitore (l’ottimo, istrionico Peter Simonischek) disposto a travestirsi da finto imprenditore per penetrare nel mondo, per lui inaccessibile, della ragazza, solitaria e workaholic (brava anche la giovane Sandra Huller). Il tentativo, riuscito a metà tra incomprensioni e addii, regalerà comunque a Ines una nuova consapevolezza di sé, della vita, del mondo che ha intorno
Vi presento Toni Erdmann della 40enne Maren Ade è arrivato fino alla cinquina finale dell’Oscar 2017 al miglior film straniero, gareggiando con concorrenti di primo piano come Il cliente (Iran), che ha regalato ad Asghar Farhadi, con relativa polemica anti-trumpiana, la sua seconda statuetta dopo Una separazione (2011), il bellissimo Land of Mine del danese Martin Zandvliet, e il primo film australiano in lizza nella storia, Tanna. E per interpretarne il quasi immediato remake americano è sceso in campo niente meno che Jack Nicholson, da sette anni assente da un set, appassionatosi alle vicende dello stralunato, doppio protagonista Winfried/Toni Erdmann: al suo fianco avrà Kristen Wiig (Le amiche della sposa), attrice e comica del Saturday Night Live.
Gran parte del merito della tenuta del film, che racconta un’originale rapporto padre/figlia nel mondo europeo, globale e abbastanza alienato, va alle capacità della regista tedesca, al suo terzo lavoro dopo The forest for the Trees, il suo “diploma” alla scuola di cinema di Monaco, quella di Wim Wenders, che nel 2003 al Sundance portò a casa il premio speciale della giuria, e Everyone Else, vincitore di due orsi d’argento alla Berlinale 2009. La sua doppia carriera di autrice e produttrice (di recente del trittico politico-psicalanalitico del portoghese Miguel Gomes Le mille e una notte) spiega il basso numero di film finora da lei diretti.
Passato lo scorso anno con grandi elogi al Festival di Cannes e titolato da cinque European Film Awards,Vi presento Toni Erdmann racconta come l’anziano ed eccentrico Winfried Conradi, insegnante di musica in pensione con il vizio dello scherzo non sempre soft (ma il film è leggero, grazie alla mano di Ade), le cui buffonate colpiscono democraticamente familiari e fattorini che bussano alla sua porta, cerchi di recuperare il rapporto con la figlia, rigida dirigente d’azienda espatriata in Romania. Va una prima volta a trovarla con la sua identità reale, ma la spedizione fallisce per la distanza incolmabile (geografica, generazionale, psicologica, valoriale) tra i due: così decide di darsi una seconda possibilità, impersonando un alter ego, Toni Erdmann, improbabile coach imprenditoriale con parrucca e assurdi denti finti, che irrompe nella vita solitaria e workaholic di Ines dedita al business e indisponibile ai sentimenti. Anche questo secondo approccio non andrà del tutto a buon fine, ma servirà almeno a istillare nella mente della giovane donna l’idea che non si vive solo per i soldi, non ci si può ciecamente fidare di amici e colleghi e soprattutto qualche volta occorre osare ed essere se stessi, sfidando la realtà consolidata. E magari anche divertendosi.
Un’eccentrica commedia umana, affidata alla bravura dei suoi due protagonisti – Peter Simonischek, attore teatrale austriaco di lungo corso, visto al cinema in film di Margarethe Von Trotta, Michael Haneke, Markus Imhoof, e Sandra Huller, orso d’argento a Berlino nel 2006 grazie a Requiem – che dice anche più di qualcosa sul confronto di mondi e generazioni che faticano a parlarsi, tra lontananze, fisiche ma non solo, e silenzi. Parafrasando una frase celebre, sarà una risata a rappacificarli. Perché, come osserva la regista, “L’umorismo è spesso un modo per affrontare situazioni delicate, e come tale è anche un prodotto della sofferenza. Winfried vuol ridefinire il suo rapporto paterno con la figlia ma è smarrito, dilaniato tra il desiderio di avvicinarsi di più a Ines e il risentimento che prova per lei. Anche perché è vero che se ha scelto uno stile di vita molto lontano dagli ideali che il padre le ha istillato da bambina, in un mondo conservatore basato sull’efficienza delle prestazioni, paradossalmente è proprio lui ad averla attrezzata con tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno per farcela in quel mondo: la flessibilità, l’autostima, la convinzione assoluta che non esistono limiti”.
Un film divertente e a tratti malinconico, segnato da una serie di addii: lo studente di Wenfried se ne va, il suo cane muore, lui e la figlia si dicono addio un certo numero di volte, ma non c’è mai un commiato affettuoso. Perfino il loro abbraccio finale, segno comunque di una riconciliazione, è un tentativo di esprimere il senso di un nuovo, inevitabile, distacco. “La cosa importante, chiosa ancora Maren Ade, “era che Toni fosse credibile come essere umano, e al tempo stesso che sotto di lui si intravedesse Winfried. E per Simonischek, la cosa più difficile era occultare la sua bravura come attore: doveva incarnare un comune insegnante che interpreta un ruolo, il folle Toni, ma non da professionista, ed è estremamente difficile per un bravo interprete fingere di recitare da cane. Peter poteva far sembrare Toni molto più reale, renderlo ancor più divertente, ma l’umorismo scaturisce proprio dal fatto che è Winfried a interpretare Toni, non Simonischek: la situazione è quella di personaggi che si sentono come se stessero recitando in un film”.
Toni introduce nella vita di Ines un elemento di giocosità, spavalderia, libertà. E al tempo stesso la ragazza scopre che tutto nella vita può accadere, perché oggi è ammessa ogni cosa, “basta avere lo slogan giusto”. La morale, anche un po’ amara, del film, è che non ci sono rimasti più tabù da spezzare. O quasi. E la cosa è assai poco divertente e stimolante.
Vi presento Toni Erdmann, di Maren Ade, con Peter Simonischek, Sandra Huller, Michael Wittenborn, Thomas Loibl, Trystan Pütter