La compagnia del Teatro dei Gordi ritorna sulle scene con le sue Visite d’introspezione al Teatro Franco Parenti. Fino a giovedì 27 giugno, i ‘dodici’ apostoli del teatro dell’assurdo varcano – seminudi e semicrudi – la soglia della nostra emotività e lo fanno per raccogliere la sacra importanza di un gesto quotidiano, estremo e ripetuto, al quale purtroppo badiamo pochissimo
G.G. Marquez scriveva che “nella vita non c’è luogo più triste di un letto vuoto”, e aveva assolutamente i suoi motivi per affermarlo; il letto dopotutto, in Occidente, è quel morbido solido rettangolare sul quale si nasce, si copula, si ama, si litiga, si gioca, ci si riappacifica e infine si muore, tutto questo sopra di un parallelepipedo di lenzuola e guanciali stropicciati.
Ora immaginate di entrare nella Sala Tre del Pier Lombardo, immaginate di farlo entro e non oltre il 27 giugno, immaginate di avere di fronte a voi un letto matrimoniale in continua metamorfosi, una stratificazione di cotoni morbidi e di coperte di lana che si cambiano con l’andare avanti delle stagioni della vita, il tutto attorniato da due comodini, due abat-jour, uno specchio poggiato su di una colonna, una preghiera iraniana srotolata sul tassellato e un appendiabiti che scandisce le fila di sei differenti esistenze umane.
Se avete immaginato questa semplice ed essenziale disposizione scenica, allora già state assistendo a Visite, una pièce che ritorna al Teatro Parenti dopo il successo della scorsa stagione, ideata e curata dal regista Riccardo Pippa e con la drammaturgia di Giulia Tollis.
Proprio quando si potrebbe, anzi si dovrebbe credere che le neoavanguardie teatrali arrivino a partorire solo obbrobri costruiti e roiti leziosi, atti solo a una mirabolante fattanza, ecco che improvvisamente ci si ripropone davanti agli occhi un piccolissimo cameo di famiglia, un monile prezioso che invoca in terra i sacri vincoli dell’amicizia, dell’amore e dell’ospitalità, una storia che racconta e custodisce i ricordi umani. Una fotografia che viene continuamente scattata e che spara velocemente e con mira infallibile verso il piattello della nostra esistenza.
Visite è una storia senza un senso apparente, ma che in verità cela il senso più intimo della nostra vita, è un percorso che cerca di inscatolare in poco più di un’ora il tempo fuggevole che ci scappa e non ritorna più, i gesti e le movenze che ripetiamo secondo automatismi e rituali perfettamente usuali e automatizzati.
Partendo da una festa a sorpresa di compleanno – ripetuta in loop allo sfinimento – fino alla preparazione di una nascita, e ancora dalla tragedia di un aborto, fino all’estremo saluto a una persona amata.
Questa piccola compagnia, oltre ad aver ricevuto il meritatissimo Premio Hystro-Iceberg 2019, riceve il plauso degli spettatori, straniti e silenziosamente scossi, e ci riesce duplicandosi perfettamente e passando da un’interpretazione espressiva e dinamica, esaltata attraverso un martellante intervento cinetico-muscolare, a una pacata e meditabonda recita in maschera.
La trasformazione biologica dall’attore in carne e ossa a quello in cartapesta e parrucca non solo parte benissimo, ma mette persino in ordine il disegno para-narrativo dell’intera vicenda.
La dolcezza mattutina della giovinezza, quella che sparisce per tutti prima o poi, si fonde con la presa di coscienza dell’adultità, incagliandosi infine e immobilizzandosi nella lentezza solitaria della vecchiaia in una casa di riposo.
Le sei maschere disegnate dalla costumista Ilaria Ariemme plasmano daccapo le vite dei sei giovani Gordi della compagnia: Cecilia Campani, Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti, Maria Vittoria Scarlattei, Matteo Vitanza.
Uno spettacolo quasi irreale, tra i mutismi e le grida. Ogni istante insiste molto sul correlativo oggettivo e sul dettaglio che cadenza le epoche della vita umana, dove lo spettatore non può far altro che restare in attesa di attimi prevedibili e sorprendenti, per spacchettare sul finale il dono metaforico che dà senso al tutto.
Le voci comunicano appena, ansimano, ridono, ‘gutturalizzano’ persino attraverso disturbanti nenie ipnotiche davanti allo specchio, ricordando alla lontana i riti sacri degli eschimesi. Ma è la comunicazione non verbale che riesce a costruire il vero paravento espressivo tra significato artistico di Visite e il suo significante sperimentale.
Si susseguono scene più dolci e commoventi, cariche di simbolicità e di speranza: ricordiamo quelle in maschera tra i due anziani nell’atto di scambiarsi un “ti amo” in codice morse con le loro abat-jour o un gran finale con un’assunzione laica nell’aldilà metafisico delle quinte, quello che guida due amiche verso una porta illuminata dal neon freddo, forse a raffigurare quello strano paradiso che potrebbe ancora essere il teatro.
Uno degli spettacoli migliori da vedere in questo fine stagione.
Fotografia © Laila Pozzo