“Vite Segrete dei grandi scrittori italiani” rompe il primo comandamento letterario italiano che recita “non indagherai nella vita privata di uno scrittore”
Io, di solito, sulle pagine wikipedia degli scrittori guardo l’anno d’esordio per capire se sono ancora in tempo (e ora che ho superato i trenta gli esempi cominciano a scarseggiare). Poi, religiosamente verifico il segno zodiacale – con tanto di losapevocheeragemelli – e la sezione vita privata, se c’è, anche se spesso è scarna.
Perché quelle sono informazioni che le antologie del liceo non hanno mai fornito, maledetti oscurantisti. Così come non si parlava di sesso, di tradimenti, di brutte figure, di perversioni, di fallimenti o stranezze.
Vite Segrete dei grandi scrittori italiani di Lorenzo di Giovanni e Tommaso Guaita, edito da Electa, apre il vaso di Pandora, rompe il primo comandamento del milieu letterario italiano che recita “non indagherai nella vita privata di uno scrittore”, Elena Ferrante docet, e rinfresca le stanze della letteratura italiana cariche di aria secca di gesso e antitarme.
Sì, certo, il presepio dei vari “santini” della letteratura italiana è già un patrimonio condiviso, sia tramite i testi scolastici, sia tramite la stampa: mai ho avuto dubbi che Dante fosse un vendicativo, Leopardi gobbo e sfigato, la Morante una pazza gattara, Pascoli incestuoso (ma quello affiorava solo dopo le scuole, bigotti maledetti), D’Annunzio non ne parliamo (ma lo sai che si era tolto le costole per farsi i pompini da solo?) e Pasolini pederasta. A ogni scrittore poteva essere assegnato un culto particolare, una deriva psicologica, una particolare tribù: i maschi disprezzano la Morante, le donne disprezzano Moravia, gli uomini veri si buttano su Silone, Gadda e Flaiano, Marinetti no che comunque puzza di fascismo, en plein per Pasolini.
Tutti, di tanto in tanto si spruzzano un po’ di Pasolini addosso per darsi un’aria sensibile e impegnata.
E non è vero che spesso è meglio non conoscere l’autore di un’opera che si è amato. A me succede proprio il contrario: quanto più laido, contraddittorio, disperato è il personaggio tanto ne apprezzo l’opera, se la leggo poi davvero. Proprio leggendo Vite segrete mi sono resa conto di quanti testi fondamentali non avessi letto e di quanto sembrassero improvvisamente interessanti alla luce delle vicende personali che rendevano improvvisamente tridimensionali e prossimi degli autori che, in fondo, la scuola ha sempre spiegato in modo astratto e agiografico.
La lingua di Vite Segrete rispetta – e ricalca – quel mondo gentile popolato di carrozze,
“discreti gruzzoli”, “bettole”, “malcapitati”, ”bestiole” e “missive”, tutte parole che mi fanno il solletico e mi mettono voglia di parlare come Stanlio di Stanlio e Olio.
E’ anche questo un mondo affettivo che va protetto, un lessico familiare di un paesaggio linguistico che non metteva like, non faceva una call, non era smart né faceva fail.
Era piuttosto un paese che custodiva una certa pacatezza d’animo, un sano, ma cauto, trasporto per la goliardia e i piaceri carnali, una picaresca propensione al debito e alla fuga.
Ora, il vero scoop di questo articolo è che uno dei due autori è un mio amico, quindi, diciamocelo, potrei anche scrivere “Vite segrete dell’autore di Vite segrete”, in cui però avrei ben poco da rivelare perché è integerrimo e discreto (e abruzzese), come il bellissimo Silone descritto nel libro: sapevo già che avrebbe messo una cura straordinaria nello scavo biografico, separando il fango dall’oro, facendo ogni sforzo per acclarare le fonti e organizzare i fatti (come dimostra l’ottima lista di consigli di lettura).
Quello che non sapevo è che il mio amico fosse un fervido sostenitore di una sana morale, tanto si accanisce sui vizi degli scrittori, bacchettandoli bonariamente per ogni eccesso, da quell’erotomane di Machiavelli dalla “foia” insaziabile, alla tenera bulimia di Gadda. Ma forse è l’effetto Berlusconi, le conseguenze dell’epoca drive-in ad aver trasformato la mia generazione in un banco di probi individui votati alla sobrietà emotiva e alla morigeratezza di costumi, tutti casa chiesa e occasionale negroni. E’ con sguardo divertito e paterno che vengono testimoniati gli eccessi, come se i padri fossero i figli. Scavando nelle vite private, forse per accorgersi che le spalle dei giganti sono in realtà spalle umane e i nostri cuori sono alla stessa altezza. E’ un libro che, perfino nel formato, testo centrale poi numerosi box con notiziuole, citazioni e “scoop”, alimenta la curiosità, avvicina la mercuriale materia biografica, palpa le carni piene della Serao e asciuga le inconsolabili lacrime di Pavese, che attende sotto la pioggia il suo amore ballerina. Umano, prossimo, educato, in ogni caso mai troppo intimo, ma è così da sempre che siamo, caricature simpatiche, senza dimenticare, come dice Malaparte che “il papa, il Re, Mussolini, i nostri amati principi, i cardinali, i generali, tutti fanno la puttana, in Italia.”
Psicotorture a parte, Vite segrete è un testo che avrei voluto leggere alle medie, perché si conclude la lettura satolli di Novecento eppure affamati di presenza, come se si fosse creata una famiglia, di cui si vuole conservare la memoria, da cui si vuole trarre esempio, a cui si può fare appello nei momenti di smarrimento.
Ma soprattutto è un libro che finalmente si pone il problema di attrarre una lettrice come me, abituata al respiro letterario degli aforismi di facebook, atterrita dallo spessore di un dorso o da un font troppo piccolo. Vite segrete sa che esisto anche io, mi assolve e mi regala quindi la canonica sezione “Segno zodiacale” e l’eccezionale box “Perle di saggezza” di cui vi segnalo le mie prefe:
“Amor può molto di più che né io né voi possiamo”, Boccaccio.
“La stupidità degli altri mi affascina ma preferisco la mia”, Ennio Flaiano
“L’arte è un fiore selvaggio, ama la libertà”, Ignazio Silone.
“Siamo tutti in pericolo”, Pier Paolo Pasolini, prima di morire.