Premiato alla Berlinale e in altre rassegne europee, esce “No Other Land”, cioè nessun’altra terra ci sarà per i palestinesi cacciati dai luoghi dove abitano. E’ un documentario realizzato da un collettivo di filmakers, giornalisti e attivisti israeliani e palestinesi che mostrano il villaggio di Masafer Yatta, vicino Hebron, distrutto casa per casa dall’esercito israeliano dal 2019 al 2023, per farne un poligono di tiro. Mentre sullo sfondo incombono i coloni. E l’amicizia tra un attivista del paese e un giornalista d’Israele contrario all’aggressione, s’infrange sulle scarse prospettive di vita libera e in armonia fra i due popoli
Quattro anni di ordinaria, continua, implacabile occupazione militare del villaggio di Masafer Yatta, Cisgiordania, governatorato di Hebron. Li mostra No Other Land, ovvero nessuna altra terra, documentario realizzato da un collettivo israelo-palestinese di attivisti e cineasti, formato da Basel Adra, giovane militante che è anche al centro del racconto, Yuval Abraham, Rachel Szor e Hamdan Ballal. Il film è stato girato dal 2019 al 2023, e nel finale gli autori spiegano che è stato completato prima della tragica giornata di attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, con gli oltre mille morti nella popolazione d’Israele e 250 ostaggi portati nella Striscia di Gaza, alcuni dei quali stanno faticosamente tornando in patria in questi giorni grazie al cessate il fuoco.
In realtà una breve sequenza successiva c’è, ed è datata 13 ottobre 2023, e mostra un colono armato, arrivato nel paese a prendere possesso delle terre che il governo di Tel Aviv ha promesso di affidargli, che uccide con una fucilata, quasi a sangue freddo, un abitante deciso a opporsi a lui e all’esercito che peraltro ignora l’aggressione. Non è una sequenza secondaria; perché il tema della colonizzazione in corso da anni in Cisgiordania, uno dei principali motivi dell’espulsione costante della popolazione locale, si fa ora ancor più centrale, diventando quella regione l’epicentro dell’attività dell’esercito di Tel Aviv dopo il (per ora temporaneo, si spera sempre più definitivo) disimpegno dal fronte di Gaza.
Certamente però la gran parte del racconto nel film si concentra sulla distruzione di case, scuole, pollai e luoghi collettivi della cittadina da parte delle forze di difesa israeliane (IDF), che di quelle terre prenderanno possesso per costruirci un poligono di tiro e una zona d’addestramento militare, anche grazie a un’ingiunzione della Corte Suprema che ha respinto ogni ricorso dei suoi abitanti contro questa decisione. E colpisce in particolar modo, nella fredda, sistematica, puntigliosa cancellazione di vite, oggetti, abitazioni, affetti operata dai militari l’assenza del benché minimo dubbio, remora, incertezza su ciò che si sta facendo. I soldati e le soldatesse, come in ogni guerra in verità, ripetono come un mantra “facciamo ciò che ci è stato ordinato”. E con un senso quasi di fastidio per la perdita di tempo subita, allontanano gli abitanti senza il minimo accenno di comprensione.
Sul piano narrativo c’è un filone di speranza, che nel racconto resta presente accanto alle forti immagini documentarie, determinato dall’amicizia di Basel (il cui padre, Nasser, benzinaio e attivista, è per l’ennesima volta arrestato all’inizio e scarcerato alla fine), con il coetaneo Yuval Abraham, giornalista israeliano di Be’er Sheva che lo aiuta a riprendere le demolizioni e anche a ricostruire gli edifici dopo ogni attacco. Accolto tutto sommato civilmente nel villaggio, lui che facilmente potrebbe essere catalogato come un “nemico”, condivide in molte conversazioni notturne con Badel un senso di rassegnazione disperata verso il futuro, riguardante non solo i palestinesi cacciati dalle loro case, ma anche gli israeliani che non condividono questo modo di agire delle loro autorità.
Tutto quello che sta dalla parte degli abitanti (tra i filmati d’archivio c’è una visita di Tony Blair al villaggio nel 2009), e potrebbe avvalorare le loro ragioni di resistenza, sembra davvero irrilevante davanti a una forza militare cieca, forse in molti casi anche convinta della necessità di assolvere ai suoi compiti. Mentre si susseguono le demolizioni di case, infrastrutture energetiche e di ogni mezzo di sussistenza, dell’unica scuola di Masafer Yatta costruita dagli abitanti quando Basel era solo un bambino, cresce in parallelo la frustrazione dei due protagonisti anche per la scarsa risonanza mediatica raggiunta dai video di Basel e dagli articoli di Yuval. E non parliamo dello sconforto degli spettatori, che hanno tutte le ragioni per domandarsi quando e come l’abisso scavato tra questi due popoli in tanti anni potrà mai ricomporsi.
No Other Land, documentario di Basel Adra, Yuval Abraham, Rachel Szor, Hamdan Ballal