Per la 327ma volta allo Strehler, Servillo ha fatto il miracolo ricordando la grande bellezza anticipatrice di Eduardo a 30 anni dalla morte
Le voci di dentro di Toni Servillo parlano già prima di cominciare. Forse per l’aura di Eduardo De Filippo, scomparso da trent’anni. Forse per il milione e 731mila telespettatori che il 2 novembre hanno seguito la diretta su Rai1. O forse per il faccione di Servillo sulla locandina della tournée di Chicago che accoglie gli spettatori nel foyer del Piccolo Teatro. Sta di fatto che si sta in trepidante attesa che il miracolo cominci. Ancora una volta. La trecentoventisettesima.
E ricomincia questa caustica e inquietante rappresentazione di un mondo in cui è impossibile dormire ed è pure impossibile vivere, costruita sulla straordinaria capacità del regista di incantare lo spettatore e portarlo ovunque: dentro casa Cimmaruta, nel suo sogno, nel ricordo, dietro a un armadio, a teatro di fronte a un impietoso specchio della meschinità umana. Tutto si svolge in uno spazio vuoto, con una porta aperta, una così felice congiuntura tra Peter Brook ed Eduardo che si perdona anche la meno convincente installazione di sedie alla Dalì che si manifesta a casa Saporito. Uno spazio vuoto immenso, quello del palco dello Strehler, che paradossalmente è più pieno nelle scene con pochi personaggi, che in quelle corali. La sfida è vinta: Eduardo continua a funzionare.
«Voialtri della generazione passata… più presente del presente stesso» dice e grida il giovane Luigi Cimmaruta (un Vincenzo Nemolato un po’ sopra le righe). Oppure «Non posso sempre essere io ad ascoltarmi» confessa Don Pasquale.
Ci si sorprende, più di una volta, a chiedersi come quelle parole scritte nel ’48 siano ancora così attuali. Quanto questa storia di individualismo interroghi le nostre voci di dentro. Infine, ma fin dall’inizio, Toni Servillo e i suoi attori sanno far ridere. Sarà un po’ antico, ma fa piacere poter scrivere che il debutto in questa stagione al Piccolo ha contato ben sei uscite per gli applausi, tra distinti fedelissimi del teatro e ragazzi entusiasti che a fine spettacolo si spiegano il senso dell’opera: è una denuncia sociale.