Sessant’anni esatti dopo il grande classico del musical firmato da Robert Wise, Leonard Bernstein e Jerome Robbins, esce il nuovo “West Side Story” firmato da Steven Spielberg. La lotta razziale è in primo piano in questa nuova versione, che vanta l’eccellente sceneggiatura di Tony Kushner, una regia ricca di trovate scenografiche, a volte magiche, e una giovane compagnia di attori, Elgort e Zegler in testa: un solo, grande “ritorno”, la 90enne Rita Moreno, che porta un eterno messaggio di tolleranza
Romanticismo e violenza, violenza e romanticismo. Ecco, qui nell’ordine degli addendi, sta la differenza tra le due versioni, entrambe bellissime, del famoso musical West Side Story, andato in scena a teatro a New York nel 57 con le musiche di Leonard Bernstein (le parole sono di Arthur Laurents e di Stephen Sondheim, da poco scomparso) e le insuperabili coreografie di Jerome Robbins, che sono ancora nelle orecchie e nei sentimenti di tutti e diventano danza come per incanto. “West Side” si Robert Wise è una data storica nel musical, il primo, dopo Un giorno a New York, che usciva dalle quinte e dai camerini del teatro per raccontare, fuori dalla stage door, la storia delle gang con la lotta tra Jets e Sharks, i gringos americani e i portoricani (all’inizio pare dovessero essere ebrei e cattolici). E la prova è che è l’unico musical, oltre a Porgy and Bess di Gershwin, cui si sono aperte, per ben due volte, le porte del Teatro alla Scala. E’ stato, oltre al primo musical con 10 Oscar vinti su 11 candidature, anche il primo musical neo realista, chiuso alla fine dagli strepitosi titoli di coda del grande maestro Saul Bass stampati sulle mattonelle dei muri della West Side, in quelle strade dove sarebbe sorto il Lincoln Center, ed anche il nuovo film si svolge negli stessi anni, negli stessi luoghi ma con spirito diverso.
Il remake – mai parola fu meno corretta, è vero che si lega al film del ‘61 ma è anche profondamente autonomo – mette in primo piano la lotta razziale che sta da sempre a cuore a Spielberg (Il colore viola, Amistad, Lincoln), dentro cui sboccia e arde e inciampa una storia d’amore vagamente ispirata a Romeo e Giulietta di Shakesperare (ma con uno sconto sulle vittime finali), mentre nel film firmato da Wise e Robbins c’era soprattutto una grande love story nel contesto di una lotta tra gang rivali e molto ritmo di polpastrelli. E poi il film di Spielberg ha due grandi doti: da una parte una vera sceneggiatura che amplia la storia, la contestualizza ma nello stesso tempo la rende eterna, opera di Tony Kushner, l’autore di Angels in America che ha già più volte scritto per il re Steven (Lincoln e Munich); poi c’è una vera regia, che conta su trovate scenografiche magiche che si impigliano negli occhi e nel cuore, diversi, indovinatissimi set per alcuni song famosi come America e Somewhere, ed altre trovate come le montagne di sale nel salone palestra dove si svolgono gli incontri di odio tra i ragazzi e la canzone eseguita nel negozio di moda.
Ed è scatenato e struggente anche il famoso Mambo (allora ritmo del peccato…) nella scena dell’incontro e del colpo di fulmine tra Tony e Maria, prima che i due si guardino negli occhi intonando Tonight che è, con Maria, l’inno nazionale del romanticismo globale. Il primo “WSS” non è mai passato di moda, rivederlo oggi spara ancora tutte le sue cartucce a partire dalle coreografie di Robbins che, se vogliamo, è l’unico tra gli autori, oggi un poco sacrificato: ma il resto è un fulmine di due ore e mezzo, in cui rivive il sogno e l’incubo americano che passa dagli anni 50 ad oggi, mentre anche in Italia sono state realizzate alcune belle versioni dello spettacolo dal vivo.
Nei ruoli degli innamorati, che erano della bella Natalie Wood e Richard Beymer, ci sono Ansel Elgort (ex Baby driver, figlio di un fotografo di moda) e la giovane youtuber Rachel Zegler, che fanno il loro dovere di innamorati, mentre come sempre i due comprimari rubano la scena. Anita – che era Rita Moreno, presente in un ruolo diverso anche in questo film, oggi è Ariana De Bose, e Bernardo, che era George Chakiris, e qui è l’ottimo David Alvarez, insieme a Riff, che ora si chiama Mike Faist e prima era Russ Tamblyn, lo scatenato zio Gedeone di 7 spose per 7 fratelli.
L’intero film sprigiona una grande verità (tutti latinos i portoricani), partendo dalla rivoluzione urbanistica che invita il film ad iniziare con una ripresa dall’alto che cala poi su rovine e detriti della metropoli in fieri, in un’escalation di dinamismo che non concede un attimo di sosta al montaggio, alle coreografie di Justin Peck che ovvio rievocano il maestro Robbins, come nella fotografia stupenda di Janusz Kaminski che esalta esterni ed interni di questa storia d’odio e d’amore che non perde di intensità e mette sull’attenti le qualità migliori del musical e l’optional aggiunto della verità reale di queste gente povera ed emarginata, che si rispecchia oggi negli occhi per sempre giovani della straordinaria 90enne Rita Moreno, in cui si legge un messaggio eterno di tolleranza, pur contraddetto dagli eventi sempre più feroci.
West Side Story di Steven Spielberg con Ansel Elgort, Rachel Zegler, Ariana De Bose, David Alvarez, Mike Faist, Rita Moreno