Nata come stilista punk, è diventata una star della moda britannica, restando sempre a suo modo un’attivista politica. Per esempio sui temi ambientali. Qui Westwood si concede, con qualche insofferenza, a un ritratto divertente e a tratti spigoloso, poco accomodante, dalla gioventù accanto al “noioso” Malcolm McLaren a 40 anni di eventi e passerelle, a volte criticati, quasi sempre trionfali
Il documentario di Lorna Tucker Westwood: punk, icona, attivista racconta la vita e la carriera di una delle più acclamate stiliste britanniche degli ultimi decenni, Vivienne Westwood, mostrando una vera e propria tensione tra la regista e il suo soggetto. Che inizialmente si rivela intrigante, ma sfortunatamente perde presto la sua forza, lasciandoci un ritratto troppo superficiale di una donna la cui affascinante vita e carriera avrebbe potuto (e dovuto) portare a un risultato più interessante.
La designer si pone fin dall’inizio come una figura irascibile, lamentandosi delle domande della regista e dichiarando di non essere interessata a rivivere la sua vita: quando, per esempio, le viene chiesto del suo rapporto con The Sex Pistols, è decisamente sbrigativa. Il film tocca tutte le basi biografiche, cominciando dalla gioventù, tutto sommato convenzionale, di insegnante sposata con un figlio; il suo rapporto sentimentale e professionale con Malcom McLaren, futuro manager dei Sex Pistols, ha segna così una svolta, soprattutto quando la coppia apre una boutique a King’s Road dove i due mettono in mostra i loro modelli punk facendo scalpore. “Abbiamo inventato il punk“, dichiara la Westwood alla cinepresa, ed effettivamente è andata così. Aggiunge anche che la loro relazione s’è inasprita a causa dell’incapacità di McLaren di cambiare: “mi sono letteralmente annoiata con Malcolm”.
Westwood ha iniziato la sua carriera come anticonformista, ma alla fine è diventata un’istituzione. La sua società privata ora ha oltre 60 punti di vendita al dettaglio, è stata onorata dal titolo di “Dame” nel 2006 e nel 2004 il Victoria & Albert Museum di Londra le ha riservato una mostra retrospettiva, la più grande mai dedicato a uno stilista britannico vivente. Lungo la strada però ha anche ricevuto una buona dose di critiche: i suoi disegni stravaganti spesso sono stati derisi dal mondo della moda e dalla stampa. Certamente il vasto repertorio d’archivio affascina, e il documentario è più efficace quando si segue semplicemente la Westwood, si che si muova nel suo appartamento disordinato o che lavori ai suoi ultimi modelli. E non manca la commovente storia d’amore tra la designer ed il suo secondo marito e partner professionale Andreas Kronthaler.
Lorna Tucker, documentarista ed ex modella, dimostra una familiarità con l’ambiente che conferisce al film un’autenticità innegabile. Ma non organizza il suo materiale particolarmente bene, descrivendo la vita del suo soggetto in modo così veloce, scattante, che gli spettatori privi di familiarità con la carriera di Westwood potrebbero sentirsi frustrati. Ed elementi importanti, come l’impegno instancabile della designer a favore delle cause ambientali, appaiono così rapidamente che a malapena attirano l’attenzione, mentre altri contributi, compresa una prevedibile serie di comparsate di star dell’ambiente (tra cui Andre Leon Talley e Kate Moss), che tessono lusinghiere lodi della stilista, tengono per troppo tempo la scena.
La Westwood è comunque figura così carismatica e accattivante che il documentario si rivela comunque molto spesso divertente. E termina con un il montaggio delle straordinarie chiusure di passerella che la Westwood ha regalato al mondo della moda per oltre quarant’anni: un elogio al suo successo, sicuramente meritato.
Westwood: punk icona attivista, di Lorna Tucker, con Vivienne Westwood, Andreas Kronthaler, Peppe Lorefice, Christopher Di Pietro, Joe Corré, Ben Westwood, Carlo D’Amario, Murray Blewett, Kate Moss