Fino al 28 settembre la Biblioteca Salaborsa di Bologna presenta “When they see us. Quando le macchine ci guardano”, mostra che affronta il tema dell’impatto del tracciamento nello spazio fisico e digitale delle nostre vite onlife e permette di riflettere sui rischi dell’IA e sulle minacce della sorveglianza biometrica attraverso le installazioni dell’artista belga Dries Depoorter e alcune opere del progetto The Glass Room Misinformation Edition del gruppo di ricerca Tactical Tech. Una riflessione necessaria e urgente più di quanto, ancora, non riusciamo a immaginare.
L’evoluzione della tecnologia è sempre stata accompagnata da entusiasti sostenitori del progresso, e altrettanti dissensi e perplessità; è possibile vederlo nelle innovazioni che hanno radicalmente modificato la struttura della società, ma anche in casi meno estesi, che hanno interessato solo una nicchia ristretta di persone.
In ogni caso, le innovazioni tecnologiche fanno ogni giorno di più parte delle nostre vite, sicuramente migliorandole e, in certi casi, peggiorandole. Mai come negli ultimi anni, però, la tecnologia è stata in grado di entrare, osservare e controllare le vite private delle persone: mi sto riferendo ai “sistemi di sorveglianza biometrica”, un tema che è stato affrontato all’interno della mostra “When they see us. Quando le macchine ci guardano” curata dall’organizzazione culturale Sineglossae e promossa dalle associazioni The Good Lobbye Hermes Center for Digital Rightse info.nodes, già attive per la campagna contro il riconoscimento biometricoReclaim Your Face, e presentata alla Biblioteca Salaborsa di Bologna fino al 28 settembre 2024.
Le opere dell’artista Belga Dries Depoorter, esposte per la prima volta in Italia, raccontano diversi aspetti della cybersecurity, dei social e dell’intelligenza artificiale. Tra queste è stata presentata Jaywalking, un’opera interattiva piuttosto semplice ma che porta con se diversi ragionamenti interessanti: il pubblico vede in diretta le riprese di una telecamera di sicurezza che mostra un attraversamento pedonale e, grazie a un programma sviluppato dallo stesso Dries, l’installazione è in grado di identificare e segnalare a schermo le persone che commettono un’infrazione del codice stradale (attraversando col rosso o fuori dalle strisce). A questo punto lo spettatore è invitato a premere un pulsante rosso posto di fronte a lui per segnalare alla stazione di polizia più vicina l’infrazione. L’opera permette diversi spunti di ragionamento: lo spettatore si ritrova a compiere una scelta, non è più visitatore passivo ma è responsabile della sorte di quel pedone. È obbligato a compiere una scelta morale, deve decidere se ignorare l’infrazione del pedone, risparmiandogli una multa, o assumere il ruolo del “carnefice”. Un’altra facile lettura dell’opera è che quest’azione non sarebbe possibile senza la presenza della telecamera, entità spesso ignorata dai cittadini ma sempre presente nelle nostre vite quotidiane, che ci sorveglia e controlla.
Questo specifico tema è affrontato nell’opera esposta all’ingresso di Salaborsa, Surveillance speaker, una telecamera di sicurezza con annesso uno speaker che enuncia con voce impersonale ciò che vede, di fatto esponendosi come ciò che è: un continuo e instancabile osservatore della vita delle persone. Le telecamere sono un oggetto ricorrente nelle opere di Dries, che spiega come spesso accedervi sia un’azione molto più semplice di quanto si possa pensare. Esistono infatti numerosissime telecamere cosiddette “open”, ovvero di libero accesso a chiunque lo desideri, oppure protette da password “standard” come “1234” o “0000”.
L’ultima opera presente a Salaborsa è “Border Birds”, realizzata attraverso le riprese delle telecamere poste al confine di paesi in guerra tra loro, dove il software di Dries ha il compito di riconoscere e fotografare gli uccelli che attraversano questo confine. L’opera è stata realizzata in collaborazione con la sorella Bieke Depoorter, che si è dedicata alla selezione delle centinaia di foto scattate e poi esposte in mostra. L’artista ha infine avuto lo spazio per parlare di molte altre sue opere non esposte alla biblioteca di Salaborsa, che spaziano tra tematiche come i like e followers nei social esplorati in Scratch Tickets e Quick fix, oppure temi politici affrontati in opere come The Flemish Scrollers.
Come spiega Martina Turola, l’idea della mostra è nata guardando alla campagna europea “Reclaim your face”, che ha combattuto per limitare l’utilizzo e la diffusione dei sistemi di sorveglianza biometrica, sistemi addestrati a una identificazione selettiva di ogni individuo, installati con la promessa di minore criminalità e maggiore sicurezza ma che tuttavia portano con se non poche problematiche, oltre a rappresentare un rischio per la nostra autonomia e libertà. “Reclaim your face” ha tentato di vietare l’utilizzo di questi sistemi di sorveglianza allo scopo di tutelare i diritti umani e digitali, e quindi impedire a governi e privati di poter entrare in possesso dei nostri dati biometrici (volto, iride, voce, impronte digitali, caratteristiche fisiche e comportamentali, ecc…) e sfruttarli a loro piacimento. Queste eventualità sembrano il presupposto per un perfetto immaginario distopico, dove l’occhio del grande fratello impedisce una serena vita nello spazio pubblico, sempre meno libero e invece sempre più controllato e limitato.
La mostra tratta questa tematica grazie alle opere esposte ed è, come spiega il direttore artistico di Sineglossa Federico Bomba, di fatto il primo evento della rassegna “The next real” che tratterà fino ad Aprile 2025 temi sull’IA e l’arte in rapporto con la società. Una riflessione necessaria e urgente più di quanto, ancora, non riusciamo a immaginare.