Tratto dal best seller di Cheryl Strayed, “Wild” di Jean-Marc Vallée racconta la supercamminata (1600 km) di una minuta ragazza lungo la costa del Pacifico
Il Pacific Crest Trail è un sentiero montano che corre per 4286 chilometri in mezzo a una natura selvaggia dal confine col Messico a quello col Canada. Percorrerlo tutto a piedi è un’impresa al limite dell’umano, infatti già per affrontarne solo una parte si consiglia un buon allenamento e una forte consapevolezza dei rischi cui si va incontro. In Wild di Jean-Marc Vallée, Cheryl Strayed (Reese Witherspoon), minuta ragazza di città sprovvista di esperienza e buon senso, lo affronta senza preparazione, con uno zaino più grande di lei – per metà pieno di cose inutili – tanta rabbia in corpo e un impellente bisogno di rinascita. Ma soprattutto con l’idea che solo il contatto intimo, assoluto, con la natura potrà salvarla dal gorgo di autodistruzione in cui la sua giovane vita è da tempo precipitata, fra droga e sesso compulsivo, dopo la morte della madre e il fallimento del suo matrimonio.
L’impresa, folle, è coronata dal successo, anche se lei percorre “solo” 1600 chilometri, dal deserto del Mojave all’Oregon, attraverso montagne e foreste, sotto il sole torrido e tra tormente di neve, sopravvivendo, in perfetta solitudine, a un’infinita serie di prove, e rischiando più volte la vita. Ma alla fine ottiene il premio più prezioso: una seconda possibilità di esistenza.
Il film racconta una storia vera, tratta dal memoir che la reale Cheryl Strayed ha pubblicato nel 2012, riferendosi alla sua impresa che risale a metà anni 90. Del libro, diventato soprattutto in America un bestseller (in Italia l’ha pubblicato Piemme) si è prontamente innamorata la diva Reese Whiterspoon che ha deciso di produrlo e interpretarlo, affidando la sceneggiatura all’inglese Nick Hornby e la regia al canadese Jean-Marc Vallée, dopo la buona prova di Dallas Buyers Club.
Tutto bene quindi? Sì e no. Della penna brillante di Hornby non c’è quasi traccia in una sceneggiatura corretta e scorrevole, ma priva di guizzi; Vallée sembra dirigere con un manuale di regia in mano, non sbaglia un’inquadratura ma non riesce mai a stupirci; e anche la Whiterspoon, brava come al solito, una grande professionista, stavolta lo schermo non arriva a bucarlo. Peccato. Wild è un film che mira alla perfezione, in senso hollywoodiano, però non trova uno stile. Il libro meritava di meglio: non è un capolavoro ma ha la forza che talora hanno i memoir, a prescindere dalle loro qualità letterarie, la capacità di trascinarti dentro il mondo di chi scrive, facendoti vedere le cose coi suoi occhi. E creando un universo imperfetto e proprio per questo vivo, emozionante.
Della vera Cheryl, anche quando sembra una ragazzetta un po’ sciocca, ci importa molto, e la natura che scopriamo attraverso di lei davvero ci affascina, ci spaventa, ci conquista. Della Cheryl col volto di Reese Whiterspoon invece ci importa poco, come della wilderness che la circonda, inquadrata con gran dispiego di professionalità ma senza poesia. Eppure il film s’intitola Wild e dovrebbe essere un inno all’imperscrutabile potere salvifico della natura, ma a mancare è proprio la natura, il senso forte di un’immersione totalizzante, terrificante, l’idea di un abbraccio che può anche rivelarsi letale ma mai privo di senso. Vedi il magnifico Into the Wild di Sean Penn, film accostabile a questo, da cui si usciva con l’idea che andare a vivere in Alaska d’inverno poteva costare la vita, ma non per questo una scelta del genere potevi semplicemente liquidarla come stupida.
Wild, di Jean-Marc Vallée, con Reese Witherspoon, Laura Dern, Thomas Sadoski, Michiel Huisman