Un libro di Giovanna Ginex per Skira racconta la vicenda, umana e professionale, di Fernanda Wittgens (1903-1957): anima di Brera durante la guerra, grande direttrice durante la ricostruzione,, storica dell’arte, antifascista.
Giovanna Ginex, storica dell’arte e curatrice, ha dedicato un intenso studio a Fernanda Wittgens con la spigliatezza e il rigore che le sono abituali nei numerosi libri dedicati agli artisti. Perché Fernanda Wittgens era un’artista. Lo scrive lei stessa a Ferruccio Parri quando declina l’invito a candidarsi alle elezioni amministrative del 1956.
È un libro notevole che rende giustizia di una vita magnifica, intensissima, importante per la città di Milano e non solo. La vita di una donna, una vicenda singolare e anticipatrice.
Fernanda Wittgens nasce nel 1903 da padre austro-italiano e da madre italo-ungherese. Il padre è professore di Lettere al liceo Parini. Rimasta orfana a sette anni prosegue gli studi superiori grazie a una borsa di studio. All’università studia Lettere con Paolo D’Ancona. Collabora, diciannovenne, con il quotidiano L’Ambrosiano. Dopo la laurea, nel 1926, comincia a insegnare. Ma l’incontro cruciale è del 1928: D’Ancona la presenta a Ettore Modigliani, dal 1908 direttore della pinacoteca di Brera e in seguito soprintendente alle Gallerie della Lombardia.
Con il direttore la giovane studiosa condivide la passione per il lavoro al museo e la rigorosa metodologia e ne sposa il progetto di una “Grande Brera” che comprendesse la pinacoteca, la biblioteca, l’accademia, l’osservatorio astronomico e l’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. La storia personale di Fernanda e quella della Pinacoteca diventano, per i successivi trent’anni, indissolubilmente legate. Entrata come “operaia avventizia”, ne diventerà direttore.
Nel 1935 la posizione di Modigliani è diventata per motivi politici assai delicata e nel 1938, con l’entrata in vigore delle leggi razziali, viene sospeso da tutti gli incarichi. Fernanda rimane il trait d’union tra il vecchio direttore e la pinacoteca. Nel 1940 diventa vicedirettore (è, con Palma Bucarelli, l’unica donna a ricoprire un incarico di rilievo nelle istituzioni museali italiane).
Con lo scoppio della guerra il suo ruolo assume una dimensione messianica – salvare le opere d’arte dalle possibili conseguenze del conflitto – e profetica: durante i bombardamenti alleati del 1943 quasi tutte le istituzioni museali del capoluogo meneghino vengono gravemente danneggiate e la notte tra il 7 e l’8 agosto alcune bombe colpiscono in pieno Brera. Senza l’intervento della Wittgens e di pochi altri gran parte dei capolavori della pinacoteca li vedremmo oggi in vecchie riproduzioni in bianco e nero.
Ma il suo impegno in quegli anni – un impegno fortemente intriso di coscienza civile – non può limitarsi a questo. Fernanda sente altrettanto urgente l’esigenza di salvare le vite umane: dei partigiani, degli ebrei (ebrei erano i suoi più grandi maestri Paolo D’Ancona ed Ettore Modigliani). Con Adele Cappelli Vegna, medico, e le sorelle Zina e Maria Rosa Tresoldi, maestre elementari, mette in piedi una rete che contribuisce a salvare – tra gli altri – Rodolfo Morandi, della direzione del PSI, Franco Momigliano e Lamberto Vitali. Vittima della delazione di un giovane ebreo collaborazionista che aveva aiutato, il 21 luglio 1944 viene arrestata con le sue compagne.
Dopo il 25 aprile viene reintegrata nel suo ruolo così come Ettore Modigliani. Il compito che si propone loro è immenso: la ricostruzione di pressoché tutti i musei di Milano.
La storia di questa, è il caso di dire, eroica ricostruzione è la parte più appassionante del libro. Le difficoltà, le incomprensioni, le ripicche romane da un lato; lo spirito di reazione, la consapevolezza del ruolo storico, la solidarietà che si determinano dall’altro, rendono giustizia di quello che fu uno dei momenti più importanti della storia repubblicana.
Nel 1947 Modigliani muore. Alla guida della pinacoteca gli succede Fernanda.
Lo sforzo della ricostruzione non è esclusivamente organizzativo e ingegneristico. È anche, e soprattutto, critico e teorico. Wittgens difende con veemenza il ruolo della pinacoteca contro coloro che ne vorrebbero fare una vetrina di soli capolavori. Brera deve diventare per la pittura lombarda quello che l’Accademia di Venezia e gli Uffizi sono per la grande arte veneta e toscana. E in questi anni di frenetica attività il ruolo di studiosa si accompagna a quello di militante culturale (partecipa all’organizzazione di importanti mostre dell’arte italiana a Londra e Zurigo).
Il 19 giugno del 1950 Brera riapre. Fernanda è matura per superare il pensiero dei suoi maestri. Pur difendendo con vigore l’idea della Grande Brera, impronta il suo lavoro di direttore su uno slogan anticipatore: Brera museo vivente. Promuove quindi l’attività didattica per i giovani, la classe operaia, i disabili. E va oltre.
Anticipando un dibattito che sarebbe diventato attuale solo decenni più tardi apre a esperienze che devono mettere a confronto il museo con le nuove esigenze sociali. Così accoglie nelle sale le sfilate di moda e i concerti di musica classica, sente l’esigenza di un rapporto con le nuove classi sociali. Inventa – quando il marketing culturale in Italia non si sapeva cosa fosse – una collaborazione con la Rinascente e organizza la manifestazione “Fiori a Brera” che le conquista 180mila visitatori in una settimana e la copertina di Walter Molino sulla Domenica del Corriere.
Ed è incredibilmente lucida, consapevole di un principio che solo molto più tardi sarà condiviso: il patrimonio artistico inteso come “materia prima dell’industria del turismo” (cavallo di battaglia per la richiesta di un ministero delle Belle Arti).
Ma il suo lavoro instancabile non si limita a Brera: contribuisce alla riapertura del Poldi Pezzoli, della Galleria d’Arte Moderna di via Palestro, delle raccolte del Castello Sforzesco. Grazie alla collaborazione del collezionista Gianni Mattioli (cugino cui è legatissima sin dall’infanzia) intesse importanti relazioni internazionali, incrementando il patrimonio della pinacoteca. Nel 1951 collabora con Roberto Longhi – personaggio illuminante di tutta la sua carriera, fin dai tempi dell’Università – alla grande mostra sul Caravaggio.
Dal 1956 e fino alla morte – l’11 luglio 1958 – fa parte della commissione parlamentare per la tutela del paesaggio presieduta da Carlo Ludovico Ragghianti.
Giovanna Ginex ci racconta questa storia con passione e chiarezza individuando i tre aspetti principali della vita della studiosa che fu coraggiosa militante politica, che dedicò la vita al patrimonio artistico milanese e alla sua pinacoteca più importante, che fu attenta studiosa dell’arte.
Il libro non fa luce soltanto sulla sua grande statura politica, professionale, culturale. Dalle vicende narrate, dalle sue lettere, dai commenti di amici e collaboratori emerge anche il suo carattere irruento, scomodo, ai limiti dell’aggressività quando necessario. E la sua problematica di donna che – è una vicenda che comincia all’inizio del secolo scorso e si conclude più di 60 anni fa – per la sua realizzazione personale dovette probabilmente rinunciare a molti aspetti della propria femminilità.
In una nota autobiografica, Fernanda Wittgens scrisse:
L’esperienza del carcere è stata, vorrei dire, artistica. Atrocità incredibili ed umanità sublime che dimostrano la verità del detto di Montaigne sulla stranissima, misteriosa cosa che è l’uomo.
Il 6 marzo 2014 a Fernanda Wittgens vengono dedicati un albero e un cippo al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano.
G: Ginex, Sono Fernanda Wittgens. Una vita per Brera, Milano, Skira Editore, 2018, 160 pagine, € 19,00. Contributi di G. Ginex, E. Bernardi, J. Bradburne, E. Daffra.
Immagine di copertina: Brera: la ricostruzione, 1948-1950