È quasi meglio del primo episodio il nuovo horror firmato da Greg McLean: con una protagonista intelligente e feroce, tra Freddy Krueger e Hannibal Lecter
Volete conoscere la “vera” Australia? Siete tentati dall’idea di un viaggio lontano dalle solite rotte turistiche, ansiosi di avventurarvi in quella selvaggia terra di nessuno chiamata outback? La visione di questo film ve ne farà passare la voglia. Preceduto dalla minacciosa scritta “La storia è ispirata a fatti realmente accaduti”, il sequel di Wolf Creek, mantiene esattamente ciò che promette: una lunga serie di nefandezze assortite, sullo sfondo di uno dei paesaggi più affascinanti del mondo.
Nel ruolo di una sorta di Virgilio, che ci guida in questa passeggiata all’inferno senza biglietto di ritorno, ritroviamo il sadico cacciatore Mick Taylor (interpretato da John Jarratt, protagonista del primo film), e dietro la macchina da presa c’è ancora il giovane e talentuoso Gregg McLean, mentre in primo piano sullo schermo sfila un bel gruppo di attori, giovani, carini e sconosciuti, ai quali non si riesce ad affezionarsi visto che finiscono squartati in men che non si dica.
Tranne uno (Ryan Corr), capace incredibilmente di tener testa al mostruoso Mick, abile, preciso e intelligente, come ogni serial killer che si rispetti, psicopatico feroce all’incrocio fra Freddy Krueger e Hannibal Lecter, come lui dotato di squisito sense of humour. Non un personaggio inedito, ma sicuramente interessante, con quella faccia simpatica da Mr Crocodile Dundee e il cappellaccio da contadino, il celebre Akubra in pelo di coniglio, ormai simbolo dell’Australia insieme ai canguri.
Ma la sua caratteristica principale è un’altra: una folle xenofobia che prende di mira chiunque sia percepito come estraneo, soprattutto se si presenta sotto forma di turista a caccia di avventura, ancor di più se proveniente dall’odiata Europa. Esilarante, a questo proposito, la lunga sequenza del sadico “quiz show” sulla storia e la cultura australiana al quale viene sottoposto uno sventurato ragazzo, colpevole solo di appartenere alla disprezzata stirpe degli “invasori inglesi”.
Se il primo Wolf Creek si ispirava al minimalismo estetico del gruppo Dogma 95 di Lars Von Trier, qui siamo più dalle parti di Tarantino. E le citazioni cinematografiche fioccano, mescolando a piene mani paura e grottesco. Del resto, riavventare l’horror forse è ormai impossibile. Tocca rassegnarsi. Troppo è già stato fatto, mostrato, esplorato, e anche contaminato. Però Wolf Creek 2 ci prova, con una ruvida energia che ben corrisponde al paesaggio estremo e solitario in cui è ambientato.
Con un’avvertenza: non aspettatevi un elegante racconto gotico all’inglese, adatto anche a chi l’horror non lo digerisce più di tanto. È un film per stomaci forti, come si diceva una volta. Ma per chi se la sente, vale la visita. Per quel lunghissimo e magnifico inseguimento nel deserto in puro stile Duel, e perché è un film cattivo. Davvero. E visto che di film buoni e buonisti ce n’è in giro fin troppi…