In ogni mostra si propone un percorso. Per certi aspetti, alzando il tiro, si potrebbe parlare di una sorta di iniziazione a piccoli misteri, i problemi…
In ogni mostra si propone un percorso. Per certi aspetti, alzando il tiro, si potrebbe parlare di una sorta di iniziazione a piccoli misteri, i problemi sui quali un artista si è soffermato, interrogato, aggirato. La storia dell’arte è attraversata da incontri strambi con uomini e donne che in modo diretto, sofisticato, provocatorio, sublime o titubante hanno proposto la loro lotta con un aspetto del mondo di cui volevano rendere conto. Ecco, ogni mostra cerca di gettare il visitatore all’interno di un’iniziazione a questo tipo di misteri. Quando questo non avviene nasce il sospetto di avere a che fare con un percorso espositivo poco sensato.
È quest’ordine di riflessioni che porta ad essere spaesati rispetto all’allestimento della mostra dedicata a Xu Bing presso gli spazi della Triennale. Il visitatore si trova all’interno di due stanze in cui è stata istituita una linea labile che fonda la sua legittimità a partire dall’autoreferenzialità degli autori proposti. Un progetto che facendo giocare insieme Xu Bing, Piero Manzoni, Alighieri Boetti non è riuscito a proporre l’insieme di incertezze, dubbi, risultati che gli artisti hanno dischiuso con il loro lavoro sul tema del gesto scritto, della scrittura.
Quando ci si relaziona a Xu Bing si ha a che fare con uno dei più importanti artisti cinesi della sua generazione. Nato nel 1955 da una madre libraia e un padre docente universitario di storia, incarna la figura di un artista che lavora sulla propria cultura e congiuntura storica. Un artista che situa nell’opera d’arte un’operazione teoretica per offrire una risonanza politica. Il fulcro dell’indagine di Xu Bing consiste nella presa di coscienza della capacità della parola scritta di influenzare i nostri modi di lavorare, pensare e concepire l’esperienza estetica. Un lungo percorso artistico che vuole essere uno strumento per comprendere come la Cina è oggi attraverso lo studio della calligrafia. Eventi storici come la rivoluzione culturale di Mao del 1966 e il suo nuovo linguaggio fatto di slogan lo hanno portato a rendere manifeste le correnti carsiche che il potere introduce all’interno della parola scritta. La grandezza di Xu Bing consiste nell’aver tradotto nella semplice fluidità di una serie di rappresentazioni artistiche un dibattito che occupa centinaia e centinaia di pagine di filosofia del linguaggio.
Ed è questa storia intellettuale di Xu Bing che rende la mostra Worlds of Words / Goods of Gods incapace di reggere il peso di un flusso così costante e denso di concetti. Incapace di proporre uno schema in grado di chiarire i temi da lui affrontati. Incapace di proporre in una sintesi perspicua l’insieme dei dilemmi che hanno sconvolto l’artista.
Worlds of Words /Goods of gods, a cura di Hans de Wolf, Triennale, fino al 6 marzo
Immagine di copertina: Xu Bing, © Bloomberg