“I Quattro Libri” di Yan Lianke sono le voci degli intellettuali cinesi rinchiusi in un Campo di Rieducazione negli anni ’50
I Quattro Libri di Yan Lianke sono le voci degli intellettuali cinesi rinchiusi in un Campo di Rieducazione negli anni ’50. Un’opera, nelle intenzioni dell’autore, scritta ‘In omaggio a un pezzo di storia dimenticata e alle decine di migliaia di intellettuali che morirono e che sopravvissero’.
Difficile prendere le distanze e raccontare con obiettività le vessazioni, le umiliazioni, o forse soprattutto l’assurdità, il non-senso che subiscono i prigionieri; innanzi tutto a partire dal motivo, dal crimine che li ha portati alla reclusione.
Non c’è possibilità di spiegazione, i reclusi erano intellettuali di prestigio e hanno usato la loro intelligenza e la loro cultura nel loro lavoro ed è per questo che sono stati puniti.
‘ Nella classificazione ufficiale questa era la sezione numero 99. Su nelle alte sfere avevano ordinato che tutto ciò che si trovava sulle rive del Fiume Gillo – uomini, terra, coltivazioni – si convertisse in campo di rieducazione. Lassù avevano decretato che attraverso i castighi si compisse la rieducazione. Il cielo governa la terra, la terra avrebbe governato gli uomini’.
Nella mente del lettore affiorano i ricordi del terribile regime di Plol Pot in Cambogia, le sue deportazioni e lo sterminio di un’intera generazione; in Cina succedeva trent’anni prima e ne ha costituito il modello. Il crimine degli intellettuali consiste nel non essere l’Uomo Nuovo. Ma se vediamo da vicino i rappresentanti dell’Uomo Nuovo, i direttori, i comandanti dei campi di lavoro, sono marionette che ripetono slogan assurdi:
‘Sconvolgiamo cielo, terra e mari, i nostri granai si faranno beffe dell’occidente! Uccidiamo la luna e colpiamo il sole, il nostro acciaio si staglierà contro il cielo come una fiera montagna!’.
Gli uomini Nuovi distribuiscono fiorellini di carta rossi come onorificenze al merito, venti fiorellini faranno un fiore grande come un pugno, venti di questi uno grande come una ninfea, venti ninfee danno una stella rossa, con cinque stelle rosse puoi tornare a casa.
Nel campo 99, dei prigionieri nessuno si ribella. Unico, debole dissenso è stare in silenzio, ma anche questo regge per poco tempo di fronte ai ricatti, alle subdole promesse di un po’ di cibo, di una qualche fiorellino di carta rosso che testimoni la devozione, o piuttosto l’acquiescenza alla causa, al Partito, al Grande Timoniere, al Bambino, che è il direttore del Campo di Prigionia numero 99.
Uno de’ I quattro libri che compongono l’opera e si alternano nella narrazione è dedicato proprio a lui, al Bambino, ed è intitolato Il figlio del cielo:
‘I suoi piedi calpestavano la terra: era tornato.
Una figurina minuscola sulla piatta distesa della campagna vasta e desolata di fine autunno. Un puntolino nero che si ingrandiva a poco a poco. Gli edifici del campo di rieducazione sfidavano il cielo e la terra con eroica grandiosità. Si fermò. E così fu. La terra accoglieva i suoi piedi: era tornato. Nella luce dorata del crepuscolo. E così fu.’
Nel corso della narrazione di lui sapremo ben poco, il suo aspetto infantile – ma è un bambino davvero?- la sua ossessione per le onorificenze, quella di andare a Pechino a visitare i monumenti, la sua capacità di ridurre all’obbedienza i detenuti coi più subdoli ricatti e coi più banali privilegi: una ciotola di fagioli di soia, un po’ di farina.
La testimonianza di questa corruzione è costituita dall’altro libro che compone l’opera, intitolato Cronaca dei criminali , in cui lo Scrittore, uno dei prigionieri, spia i comportamenti dei suoi compagni e li denuncia al Bambino, in cambio di fiorellini, cibo e la promessa della libertà. Tutti spiano tutti, non ci si può fidare di nessuno, perché denunciando il compagno ottieni dei vantaggi. Di giorno lavorano nei campi, o nella produzione dell’acciaio, di notte si appostano per spiare commerci carnali, passaggi di libri o di cibo. I detenuti non dormono mai. Sono sfiniti. Durante la terribile carestia, il cannibalismo diventa una necessità.
Non c’è più nessuna morale, nessun pensiero. Basta sopravvivere.
In quest’orrore nasce un delicato, profondo amore tra la Musicista e il Ricercatore. Spiati, denunciati, braccati, incarcerati i due riusciranno sempre a proteggersi e a capirsi, anche quando lo Scrittore svela al Ricercatore che la sua donna si prostituisce per un po’ di cibo e di cipria, lui non la giudica, continua ad amarla . Anche quando l’infame Scrittore, sperando di suscitare un’esplosione di odio, gli confessa che la donna nascondeva del cibo sotto il cuscino dell’amato e che lui, lo Scrittore, glielo rubava, questi non reagisce.
“Di questi tempi si combatte per non morire di fame, si può comprendere qualsiasi cosa’.
Di Yan Lianke conoscevamo già il magnifico Il sogno del villaggio dei Ding, uscito nel 2011 sempre per Nottetempo, che raccontava del traffico di sangue infetto negli anni settanta che provocò la diffusione dell’AIDS in Cina. Anche in questo libro struggente, insieme alla denuncia lucida e obiettiva del potere e dell’abbruttimento, Yan Lianke riesce a salvare alcuni uomini e donne che non si arrendono, che continuano a provare compassione, amore.
Altro elemento meraviglioso, sono le descrizioni della natura, perfino quando è devastata dai disboscamenti dell’uomo, dalla siccità, ha la forza di rinascere con un tenero germoglio. Il cielo e le stelle, la luna e il sole, l’alternarsi delle stagioni ci danno la vita.