Fonda, Weisz, Caine, Keitel, Dano: un cast mondiale e un grande regista raccontano il cinema e la realtà, l’amore e il tradimento. La libertà e la vita che va
Si intitola La giovinezza ma parla della vecchiaia, il nuovo film di Paolo Sorrentino. Crede nelle parole ma ha bisogno delle immagini. Si prende sul serio ma non rinuncia alla voglia di sorridere. Guarda lontano ma senza perdere di vista ciò che più è vicino. Ama la leggerezza, la risata, il gioco, il movimento cadenzato della macchina da presa che si muove in cerchio e sembra non volere mai trovare pace; però in ogni inquadratura cerca anche la profondità, la serietà, il senso delle cose e le regole del gioco.
È un film che si nutre di contraddizioni. Denso fino alla saturazione, pesante a tratti, eppure arioso, aperto, straordinariamente felice. Inizia infatti come una commedia caustica che si muove lieve e procede di battuta in battuta, senza apparente fatica, nello spazio sospeso di un magnifico albergo in mezzo alle alpi svizzere, ma prima della fine diventa un dramma che rinnega ogni leggerezza, e scava nel profondo aprendo squarci di dolore e paura.
Al centro della scena ci sono due grandi vecchi, che si godono una vacanza in una spa di lusso sulle Alpi svizzere: l’ottantenne Fred (Michael Caine), gran compositore e direttore d’orchestra ormai in pensione, e il coetaneo Mick (Harvey Keitel), regista hollywoodiano ancora in attività, ostinatamente deciso a portare a termine il suo ultimo film. Se Fred può contare sull’amorevole vicinanza della figlia Lena (Rachel Weisz), Mick è circondato di giovani collaboratori che entusiasti lavorano sulla sceneggiatura del tanto atteso capolavoro (nonché testamento spirituale: inevitabilmente, vista l’età del maestro).
Il primo si muove apatico e guarda il mondo con occhio sarcastico, ha deciso che il futuro non esiste e ha chiuso con la musica, arrivando al punto di rifiutare persino l’invito della regina Elisabetta a dirigere un concerto, pur di non tornare sui propri passi; il secondo, nonostante l’età, continua a darsi un gran daffare a credere che un futuro sia possibile, se solo riuscirà a convincere la sua attrice-feticcio (Jane Fonda, niente di meno!) a non tradire il cinema per la tanto odiata televisione, interpretando il ruolo che ha costruito per lei.
Il diverso atteggiamento rende i due amici degli esemplari perfetti, e consente al regista (che di anni ne ha 45, quindi si trova proprio nel mezzo del cammin di nostra vita) di affidare ai loro dialoghi, a tratti buffi, a tratti lugubri, ironici e al tempo stesso disperati, le parole più importanti, e sul tema che a Sorrentino sta più a cuore: il tempo che passa, quello che abbiamo alle spalle e quello che ci resta da vivere. Sapendo che ciò che conta davvero, e fa la differenza, è il futuro come spazio di libertà e progetto, che può esistere anche a ottant’anni, o non esistere mai, nemmeno a venti, perché con l’età anagrafica non c’entra nulla.
Se a questo punto immaginate due ore di filosofia in forma di pellicola, ed è più di ciò che siete disposti a sopportare, ecco un rapido elenco di motivi per cui la visione del film non vi deluderà. Prima di tutto il cast, dove un Michael Caine sublime gareggia con Harvey Keitel da applausi a scena aperta, e Jane Fonda mostra impavida le rughe a una Rachel Weisz che non ha paura di piangere fino a consumarsi gli occhi. E l’immancabile attore californiano (Paul Dano) si diverte a citare Novalis e ignorare Miss Universo, la statuaria Madalina Ghenea, l’unica che non ha bisogno di recitare e semplicemente è, sia nuda che vestita (più nuda a onor del vero).
In secondo luogo, il coraggio di cui Sorrentino dà prova. Pur sapendo benissimo che dopo un Oscar tutti ti aspettano al varco, pronti a spararti addosso, ha avuto il coraggio delle sue ambizioni. E ha deciso di non risparmiarsi, parlando di cinema e musica, delle emozioni (forse sopravvalutate o forse no) e del rapporto fra genitori e figli (che di certo si nutre più di segreti e misteri che di certezze), ma anche del desiderio di essere ricordati e dell’inevitabile oblio a cui siamo tutti condannati; dell’impossibilità di essere all’altezza; della necessità di decidere che cosa è importante raccontare, e del dovere di prendersi il rischio di farlo. Tutto questo, dispiegando l’indiscutibile talento di chi sa giocare bene con le parole e con le immagini: dedica il film a Francesco Rosi, omaggia Maradona, rivolge più di un commosso inchino a Federico Fellini e ci lascia con una domanda (rigorosamente senza risposta): non è che magari il senso (e il ritmo) della vita siano racchiusi nel gesto di stropicciare la carta rossa di una caramella?