Un ologramma tridimensionale vivo, reale, non solo emotivo ma anche psichedelico della creatura di David Bowie: l’autore è Luca Scardini, in un libro da non perdere
Impossibile il soggetto. E l’oggetto del soggetto. Luca Scarlini che scrive su David Bowie. Il libro, Ziggy Stardust La vera natura dei sogni è uscito a pochi giorni dalla morte. La prima domanda che gli pongo è un tentativo di intrufolarmi nel caleidoscopico archivio di mister Luca Scarlini che a domanda sa – sempre – rispondere. Mi risponde, già annoiato, che no, non aveva avuto una soffiata sulla morte di Bowie, ma era abbastanza ovvio (Luca adora la parola ovvio), annusando qui e là dichiarazioni e pubblicazioni imminenti per capire che un adieu fosse imminente.
Ma secondo te com’è stata la sua morte? Un incubo, Bowie si alza dal letto e fuori ci sono i suoi fan. Però è morto.
Luca, oltre a essere un drammaturgo sublime, un traduttore, una severissima insegnante e un grande dispensatore di incredibili episodi autobiografici, è un saggista in grado di compendiare conoscenza enciclopedica e affabulazione, come fa per esempio nel bellissimo memoir sulla Marchesa Casati Stampa, Memorie di un’opera d’arte edito per Skirà, in cui la sensibilità di Luca per i freaks, i queer, gli spostati, riesce ad avvicinare il cuore sfuggente di una donna in largo anticipo sui tempi. Ma veniamo ai lutti più recenti.
Il libro in questione, edito nella collana Incendi di add editore è una “mitobiografia” della creatura prediletta (e maledetta) di David Bowie: Ziggy Stardust, appunto.
Credo che Luca abbia avvicinato Bowie non solo per abituale fiuto luciferino per tutto ciò che è hot (sì, ok, Bowie è hot sempre, ma mai così hot con il cadavere ancora caldo), ma anche perché ne condivide il perfezionismo e l’integrità artistica. Mi dice di Bowie che «non ha mai sbagliato un colpo e mentre i fan dei Rolling Stone sono lì che sballonzolano a settant’anni ai concerti, Bowie ha concesso l’ultimo concerto nel 2006, dedicandosi a opere più significative dopo, collaborando con Brian Eno, Damon Albarn e molti molti altri».
Continua: «Da Ziggy nascono valanghe di roba, ha centomila influenze che poi sfociano in risultati anche contradditori. E’ stato lui il primo, e forse il migliore, a mescolare arte e Roxy music, a stare sul confine tra pop e arte contemporanea».
Leggere Luca è come ascoltare Bowie: sono loro a dettare, senza il minimo margine di compromesso, il ritmo, le condizioni e lo stile. Quindi aprite il libro, accendete l’Iphone, aprite youtube e allacciate le cinture, perché questo è un trip rapido, saettante e vorticoso, dritto per Marte, senza neanche lasciarvi il tempo di dire Glam!
In questo libro (mercoledì 2 marzo alle 18.30 Scarlini lo presenta alla libreria Verso di Milano) si parla di tutti, da Warhol a Lindsay Kemp, da Alexander McQueen ad Amanda Lear, sedicente fidanzata che duetta con il nostro sulle note di Sorrow.
Il polifagico cervello di Luca propone una dose ultraconcentrata di Ziggy, cogliendo “il centro del suo «momento di grazia»”, proiettandone un ologramma tridimensionale vivo, reale, non solo emotivo ma anche psichedelico. Senza usare tutti gli aggettivi che uso io, ma piuttosto utilizzando la salvifica precisione dei fatti, senza noia, se non quella shabby- chic.
Inizia con una precisa ricognizione sui piccoli segreti degli inizi, come la frequentazione della scuola di arti e mestieri o la scelta del nome: «Non c’è dubbio, però: come David Jones non avrebbe avuto possibilità, come David Bowie ci era arrivato vicino, ma in fondo non aveva funzionato. Come Ziggy aveva fatto centro». Un’impertinenza, quella di Luca, che dissolve le distanze con Bowie e ci permette di penetrare episodi familiari scioccanti senza usare melodramma ma nel rispetto dei tempi scenici: «In questa canzone commemorava, tra isterici scoppi di tromba, il suicidio del fratellastro avvenuto nel 1985, dopo la fuga dalla clinica, quando Terry aveva scelto di porre fine alla propria tormentata esistenza di devastanti visioni poggiando la testa precisamente sulla traiettoria di un treno in arrivo».
Luca è preciso nella definizione di un umore generazionale (non mi fate dire mood vi prego), descrivendo le canzoni di Bowie come “canzoni che parlano di eroi di se stessi”, canzoni che raccontano di personaggi “sospesi tra esaltazione e disastro”.
Preciso nella documentazione, nella filologia della maschera, del costume, del glitter – pensavate che ci fosse dell’approssimazione nel glitter? Riporto per esempio: «Quando, con deciso cambio di look, Bowie ritornò ad abiti di taglio maschile per il tour americano di Young Americans, il negozio Christopher Robin di Carnaby Street ne proponeva una copia a 16 sterline e 95».
O qui, sempre evocando stili nell’esattezza di un’epoca: «Quella di un’antica parrucca kabuki che rimandava al personaggio del leone, pesantissima e imponente, indossata da Marie Helvin per un celebre servizio con abiti di Kansai Yamamoto (pubblicato su Harpers & Queen, nel numero di luglio del 1971) che proponeva una rivisitazione di antiche immagini del teatro nipponico».
Quello che lascia questa lettura è proprio la speranza di un’epica, di questo filiforme eroe middle-class di Brixton che con totale incoscienza si è fatto sbranare la vita da Ziggy, nella sua incertezza e androginia, nella sua saetta arancione, vivendo in bilico senza poter mai rispondere alla domanda, chi sono? Di come l’arte è sempre sacrificio della persona.
Luca lo riassume ripescando una memoria dall’adolescenza, quando aveva chiesto alla propria insegnante d’inglese di spiegargli un verso di Bowie:
But the film is a saddening bore / cause I wrote it ten times or more».
«Mi ha spiegato, scandendo le parole, tante volte ne perdessi qualcuna e non riuscissi a decifrare il tutto, che secondo lei “l’artista pareva rivisitare Baudelaire nel suo racconto del micidiale spleen metropolitano, per cui qualsiasi opera dell’immaginazione è meno forte quando la si compie, che non quando la si pensa, sogna, desidera”. Per la prima volta era tutto chiaro».
Ziggy è forse uno di quei rarissimi casi in cui l’opera, incarnata, ha superato ogni immaginazione, sogno, desiderio.
Io per provare a tuffarmi in quel sogno sono andata al 23 di Heddon Street dove è stata scattata la foto della copertina dell’album The rise and fall of Ziggy stardust. Rimane una placca e due buste di plastica dove i fan francesi del David Bowie fan club lasciano i propri messaggi di commiato. Davanti alla targa di questo sito mitologico, un ristorante di cibo vegano-chic di una catena svizzera. Tofu al sapore di carne, carote, camerieri educati. Insomma, l’apice dello spleen.
Immagine di copertina di frankieleon