Il polacco Krystian Zimerman, l’ungherese Andras Schiff e il russo Grigorij Sokolov: tre giganti del pianismo contemporaneo tra il 9 e il 13 aprile al Conservatorio. Con tre programmi diversi ma accomunati da una sensibilità musicale straordinaria. L’imbarazzo della scelta
A più di un mese da Piano Milano City 2016, Milano diventa già la città del pianoforte con la settimana più attesa dell’anno, almeno da pianistofili accaniti come i sottoscritti. Se pensate che stiamo esagerando, diciamo solo tre nomi: Krystian Zimerman, Andras Schiff, Grigorij Sokolov, rigorosamente in ordine di apparizione al Conservatorio. Se neanche questo vi convince pienamente e vi sembra troppo dedicare ben tre sere della prossima settimana (9, 12 e 13 aprile) al pianoforte, abbiamo allora in serbo per voi qualche riga in più capace di convincere anche i più perplessi.
Zimerman: un’arte “performativa”
L’intransigenza digitale di Krystian Zimerman sembra pronta per il giro a vuoto delle ultime due sonate di Schubert, la D 959 e la D 960, annunciate con il solito colpo di scena che accompagna i travagliati preparativi delle esibizioni del pianista, fedele al Quartetto da quasi quarant’anni, di nuovo in Conservatorio il 9 aprile.
Polacco e schivo, Zimerman può impiegare anni a proporre un brano, per l’esigenza di individuare la sua chiave di lettura personale, per la perfezione tecnica ricercata in ogni passaggio. Nelle poche interviste rilasciate Zimerman ha rivelato, nemmeno troppo provocatoriamente, di non studiare mai i brani prima di eseguirli in pubblico. O meglio, di lavorare a lungo sulla tecnica dividendo lo spartito in frammenti, ma di lasciare la musica «fresca» in attesa di esibirsi, evitando di “meccanizzare” un pezzo tormentandolo troppo a casa sua.
Davvero un’arte performativa: teatro strumentale per le sale da concerto. Durante le sue esecuzioni le emozioni si devono vedere, oltre che sentire. E il suono lo segue sempre, senza limitarsi ad essere banalmente bello, perché «per un pezzo brutto serve un suono brutto». Così l’improvvisazione si muove nella gabbia sicura della tecnica: per avere la libertà bisogna sempre scorgerne i vincoli.
A più di un anno dall’integrale delle sonate di Schubert di Daniel Barenboim, commiato del musicista argentino alla Scala, tornano due brani già di solito poco eseguiti. Ma Schubert è ospite inatteso nel repertorio stesso del pianista, di solito identificato con il corposo romanticismo di Chopin, Brahms o Beethoven. Solo gli improvvisi compaiono di più, come nel preziosissimo video del concerto Chopin Schubert di Deutsche Grammophon.
Rispetto al velluto di Barenboim, che lavorò sulla dolcezza di un suono uniforme, quasi trasparente, da Zimerman ci si può aspettare contrasti vigorosi e quell’ossessiva ricerca di direzione e unità che accompagna la sua indagine musicale. Uno Schubert forse più da concerto rispetto all’intimità della vagheggiante lettura di Barenboim, da scoprire proprio per capire se quei temi riescano a illanguidire tutto il lavoro ingegneristico di preparazione di Zimerman, che monta e smonta il suo Steinway da concerto adattandolo a compositore e brano che deve eseguire.
Schiff: l’eredità di Busoni
Per Andras Schiff Milano è ormai una seconda casa. Il grande pianista ungherese è più di un decennio che si esibisce con regolarità nella nostra città, sia come solista sia in duo con la moglie, la violinista Yuko Shiokawa, riscuotendo consensi sempre più convinti dal pubblico che affolla instancabile i suoi concerti. La carriera più che quarantennale lo annovera con convinzione come il più grande pianista oggi in attività dedito all’esecuzione dei cicli integrali delle opere dei compositori più importanti.
Il Busoni del XXI secolo potremmo dire, che non si limita solo all’amatissimo J.S. Bach o a Haydn, così autentico sotto le sue dita. Ricordiamo infatti il ciclo intero delle sonate di Beethoven (proposto a Milano per ben due volte tra 2004 e 2008 e poi recentemente in una sola stagione tra 2013 e 2014), ma anche concerti dedicati interamente a Schumann, Mozart e Bartok. Di quest’anno invece il ciclo “Le ultime sonate” nel quale il pianista magiaro ha proposto un tanto semplice quanto stupefacente percorso mettendo a confronto le ultime tre sonate dei tre pilastri del classicismo: Haydn, Mozart e Beethoven.
L’ “abate” Schiff è quindi musicista a tutto tondo, che usa la testa e pretende uno sforzo anche da chi lo ascolta. Lontano dal virtuosismo imperante delle sale da concerto odierne, il suo pianismo è nobile e colto, attento ai minimi dettagli. Due mani che non sono certo quelle di Maurizio Pollini o di Lazar Berman ma che hanno sviluppato un’autonomia fuori dal comune che gli consente di giocare a suo piacimento sui volumi sonori ma ancor di più (e questa è cosa assai più rara anche tra i più grandi) sui fraseggi, sempre ricercatissimi e spesso antitetici tra le due mani.
E la raffinatezza musicale è ricercata anche negli strumenti utilizzati. È ormai da tempo che il pianista spesso decida di esibirsi su due pianoforti diversi nella stessa serata a seconda dell’autore e del brano suonato, anche se le motivazioni di una scelta piuttosto che un’altra non sono sempre così chiare.
Quello che invece è evidente è un percorso personale in continua ascesa che ha fatto maturare il suo stile negli anni. Ed è bello vedere come lo studio maniacale delle partiture anche in senso filologico non abbia inaridito le sue esecuzioni ma anzi lo abbia condotto verso prospettive di maggiore libertà, in cui la musica ancor più che in passato sembra fluire in completa autonomia, scevra da vincoli.
Quale modo migliore per godersi questo artista se non con l’integrale delle partite di Bach? Una maratona musicale quella di martedì 12 aprile in Conservatorio con l’autore da lui più amato. Milano e Bach: per Schiff sarà come essere a casa.
Sokolov: una vita “nel” pianoforte
Ritorna mercoledì 13 aprile alla Società dei concerti il pianista russo Grigorij Sokolov, con un recital interamente dedicato a due pilastri del pianismo romantico: Robert Schumann (in programma Arabeske op. 18 e la Fantasia op. 17) e Fryderyk Chopin (con i Due Notturni op. 32 e la Sonata n. 2 op. 35).
Ormai Sokolov è di casa a Milano, ma ogni suo concerto è sempre un evento imperdibile per qualsiasi frequentatore abituale di sale concertistiche, e quasi un rito per gli ammiratori più appassionati. Il fatto è che per Sokolov non esiste che la performance dal vivo, come testimoniano bene le sue incisioni e come ha affermato lo stesso musicista nelle poche interviste rilasciate, come per esempio nel 2003 in cui diceva, quasi come in una dichiarazione di poetica: «i CD hanno un suono sterile, non si sente niente; nessun rumore, nessuna atmosfera, non c’è vita, solo un suono pulito». Ecco, se volete sentire solo un suono pulito, non andate a sentirlo, se invece volete emozionarvi fino a stare male, Sokolov è il pianista giusto per voi, che condividiate o meno le sue scelte musicali.
Dotato di una tecnica impressionante (e di un repertorio che spazia da Rameau a Prokofiev, anche se i brani proposti nei concerti non sono poi tanti) si è imposto fin da giovanissimo come una delle più grandi promesse del pianismo mondiale, vincendo nel 1966 il Čajkovskij, all’età di 16 anni.
Certamente la frequentazione di Bach e dei clavicembalisti ha affinato la naturale sensibilità di Sokolov per una lettura musicale cristallina, che mette in luce sempre, fino all’ossessione, l’ordito contrappuntistico di ogni brano e in generale i vari piani sonori (che sia Rameau o Schubert), trasformando ogni nota in un piccolo mattoncino da cattedrale gotica, dove tutto si sente e allo stesso tempo si perde in un ordine totale.
Non è dunque un caso che, anche tra i romantici, il suo interesse vada verso compositori come Schumann e Chopin (e poi Brahms), dove l’intreccio delle voci (anche un “banale” accompagnamento) non è certo un elemento secondario.
E Sokolov è maestro nel portarci per mano alla scoperta di questi labirinti di senso musicale, in una chiarezza ma anche in una tensione continua, quasi si trattasse di vita e di morte a ogni accordo, ogni trillo e respiro. Vertiginoso ed esaltante, insomma, Sokolov lascia senza fiato (anche negli abituali interminabili bis che diventano un terzo tempo dei suoi concerti): una vita, insomma, che fluisce ininterrottamente dalla tastiera, e che nessuna registrazione potrà mai contenere pienamente.