La seconda tappa del progetto Cechov del regista Leonardo Lidi torna al Piccolo: Il Gabbiano passa il testimone a Zio Vanja, tra parallelismi e cambi di rotta.
In scena con un cast eccezionale al Piccolo Teatro Strehler fino al 21 aprile Zio Vanja restituisce uno spaccato desolante e tenero al tempo stesso degli abitanti abituali e non di una tenuta russa in mezzo alla natura. La presenza della natura si intreccia con ogni aspetto di questa messa in scena, il legno è infatti protagonista e materiale principale della scenografia. Il fondale di venature ricorda gli amati boschi di Astrov, ma non è così idilliaco e accogliente come lui decanta, è anzi a tratti una prigione, senza finestre né aperture se non verso il pubblico e, come ne Il Gabbiano, anche in questo gli attori non possono mai lasciare la scena. Lo spazio ristretto sembra riprende l’impianto scenico di un’altra regia di Lidi: La Signorina Giulia (in scena a Milano al Teatro Elfo Puccini a Marzo 2022) in cui i tre personaggi convivevano in due piccoli corridoi. Cosa vuole rappresentare questa volta il regista con questo schiacciare gli attori contro al fondale e gli uni contro gli altri? Forse, nel caso di Zio Vanja, più lo spazio è piccolo più risalta la costrizione della convivenza nella tenuta, la mancanza di privacy: i personaggi non sono mai veramente soli sulla scena perché anche quando gli attori “escono” vanno semplicemente dall’altra parte di un sottile muro di legno da cui possono sentire e spiare tutto, possono commentare, intromettersi nel dialoghi, sono sempre, tutti, presenti.
Nonostante l’età dei personaggi di Cechov vari dalle giovani Sonja e Elena fino al vecchio professore e alla vecchia balia Marina, l’impressione che si ha nel vedere la pietosa combriccola sul palco è quella di un’unica generazione, annoiata e scontenta. Tutti troppo vecchi per fare i giovani, ma non abbastanza per non preoccuparsi del futuro. Astrov è il portavoce di questa tematica estremamente contemporanea: il futuro del pianeta e della società. Soprattutto nel monologo del terzo atto, dove le parole di Cechov sul degrado e su come la lotta tra uomini per la sopravvivenza stia distruggendo il nostro pianeta sono spaventosamente attuali. Questo è il picco assoluto dell’interpretazione di Mario Pirrello nello spettacolo, dove dà voce a una generazione preoccupata, frustrata, impaurita ma soprattutto arrabbiata. Le grida di Astrov dialogano con le animazioni tenere e colorate di Nicolas Bovey, e questo contrasto amplifica la tragicità della denuncia di Astrov, fino a scuotere profondamente le coscienze di chiunque abbia ascoltato un telegiornale di recente. A parte questo apice di ambientalismo e filantropia, per il resto dello spettacolo Astrov rivela di essere interessato solo alla riconoscenza e alla gratitudine per il suo contributo e si dimostra un uomo pesante e insopportabile che obbliga a subire i suoi lunghissimi monologhi pubblico e personaggi, fatta eccezione per la giovane donna che pende dalle sue labbra: Sonja. Interpretata da Giuliana Vigogna, che continua a donare alle giovani innamorate che interpreta (nella prima tappa era Nina) quell’aspetto concreto, reale, terrigno. Sonja non è solo una ragazzina, ma colei che tiene in piedi la tenuta, che tiene unita la famiglia. La sua presenza sulla scena è talmente forte, pure nelle scene in cui sta in silenzio ad ascoltare in un angolino, che sembra lei la vera protagonista dello spettacolo. Accanto allo spessore di Massimiliano Speziani, non è facile, ma i due interpreti mostrano nuovamente la chimica e l’intesa che hanno sul palco. Ne Il Gabbiano erano Nina e Trigorin, gli amanti, adesso sono Sonja e Vanja, l’uno la famiglia dell’altra. E Sonja tiene testa allo zio, lo rimette in riga, lo mette al suo posto, con mano ferma e sempre con una cura e un amore infiniti… e zio Vanja si lascia fare solo da lei.
Come ne Il Gabbiano, ancora una volta Speziani trascina con la sua energia e le sue esplosioni lo spettacolo. In questo ruolo fa rabbrividire per quando riesce ad essere credibile e genuino in ogni sfumatura del personaggio, da quando è ubriaco o pazzo a quando parla con tenerezza alla sua famiglia, quando si innamora, quando gli si spezza il cuore è impossibile non entrare in empatia con lui. Speziani mostra ancora il suo virtuosismo in questa prova d’attore in cui in un solo spettacolo prima spaventa, con una rabbia e una forza per cui potrebbe buttare giù tutta la scenografia, e pochi minuti dopo fa tenerezza, diventando fragile come un minuscolo fiorellino bianco, come quelle “rose autunnali, incantevoli, tristi” che vorrebbe regalare ad Elena.
In questa seconda tappa riprende la commedia e lo stile vaudeville già dichiarato da il Gabbiano, a volte viene esasperata la pantomima facendo incastrare organicamente il realismo delle interpretazioni ad una rappresentazione caricaturale dei personaggi, che si mettono spesso in posa come per fare una foto di famiglia. Questa volta però il teatro non si ribalta, il codice non viene rotto, non ci sono grandi sorprese, nessuno fa la rivoluzione, i personaggi restano bloccati nella loro noia, schiacciati sulla scenografia, nel loro album di foto, gli uni contro gli altri, insoddisfatti, inconclusi. Se la prima tappa era una promessa, in questo caso il progetto Cechov si prende molti meno rischi e nonostante la bravura degli interpreti non mantiene le aspettative create da il Gabbiano, che aveva posto l’asticella molto in alto. Sembra una tappa intermedia: raccoglie i lasciti dello spettacolo precedente ma non ha molto da rilanciare. La terza ed ultima tappa riuscirà a giocare di più col testo di Cechov? Manterrà questi fili conduttori fatti di fiorellini bianchi e metateatralità? Sarà una nuova messa in scena rivoluzionaria? O sarà qualcosa di completamente diverso e slegato dai primi due spettacoli?