In “Zona d’ombra” di Peter Landesman un convincente Will Smith è il dottor Bennet Omalu, patologo nigeriano che svela le ragioni di molte morti oscure nello sport più popolare in America. Sfidando, non senza rischi, la ricca e potente National League. Cast di prim’ordine per un film originale e sincero
Se ci si affida al buonsenso, si lotta per difendere una causa giusta: e anche se ostacolata, la battaglia non sarà mai vana, nonostante le sconfitte momentanee. È ciò accadde nella vicenda reale del dottor Bennet Omalu, del patologo nigeriano che 14 anni fa a Pittsburgh sfidò la potentissima National League of Football, dopo aver diagnosticato l’origine clinica di una catena di suicidi di numerosi ex-giocatori, tutti colpiti da estremi disturbi mentali. E la durissima risposta della federazione sportiva, in qualche modo coinvolta nel fatto, innescò ancor di più nel medico legale il desiderio di affermare a tutti i costi la verità sugli eventi.
Col potere evocativo proprio del linguaggio cinematografico, il regista Peter Landesman sfrutta gli elementi della realtà per il suo Zona d’ombra, consegnando poi all’interpretazione di Will Smith il compito di riprodurre sullo schermo il carisma e il coraggio del dottor Omalu, negli snodi di una sceneggiatura in equilibrio tra la disinvoltura del racconto e l’intensità dei momenti più forti.
Nella lettura del film, si possono mettere in rilievo due aspetti: uno schematico e concettuale, sul tema raccontato, e uno sullo sguardo, che si può definire artistico e originale. Siamo in verità di fronte a dinamiche già incontrate; il lavoro di Landesman s’inserisce nel vasto gruppo di pellicole, molte ispirate a storie vere, in cui la risolutezza di un personaggio è in grado d’ingaggiare e spesso vincere uno scontro alla “Davide e Golia” con un avversario che appare quasi invincibile. Tale scelta conduce a regole stilistiche, più o meno accentuate, che rischiano un po’ di manierismo a livello di soggetto, relazioni tra i ruoli, coinvolgimento del pubblico. Tuttavia la cornice tecnica è solo il primo stadio, e non oscura una creatività che non tiene troppo conto delle tracce del genere, e non dà nulla per scontato. Uno dei pregi dell’opera consiste proprio nella messa in discussione di valori tipici di questa categoria filmica, per esempio i benefici del sogno americano, che ispirano in parte la forza del protagonista ma sono anche esposti assieme alle loro contraddizioni e ambiguità. Così il realismo di base assume vigore e rende giustizia al peso dei contenuti trattati.
Concorre al bel risultato l’alta qualità attoriale degli interpreti, a cominciare dalle doti di Will Smith, a suo agio nei panni del determinato coroner. Oltre alla dimensione simbolica, l’attore aggiunge al ruolo una sensibilità credibile, nei suoi contorni pacati. Non gli sono da meno colleghi come Alec Baldwin, nel ruolo del dottor Julian Bailes, ex medico della lega agonistica, a conoscenza di molti meccanismi oscuri ma in cerca di riscatto, o Gugu Mbatha-Raw, che è l’affettuosa moglie del protagonista. Il generoso mentore di Omalu si giova della performance di Albert Brooks, la disperazione del primo giocatore afflitto dalle crisi neurologiche, Mike Webster, ha gli occhi e la gestualità di David Morse.
Peter Landesman ripercorre minuziosamente l’indagine del dottor Omalu soffermandosi sulle diverse prospettive con un’agile capacità argomentativa, lontana da qualsiasi banalità. Ne deriva un progetto completo, che non gioca forsennatamente col tessuto emotivo ma preferisce gestirlo con destrezza: a favore di una ben più efficace diffusione del messaggio.
Zona d’ombra di Peter Landesman con Will Smith, Alec Baldwin, Gugu Mbatha-Raw, Albert Brooks, David Morse